25 settembre 2008

Marillion via P2P

I Marillion sono abituati a stupire con scelte strategiche inusuali.

Già nel 1999 imboccarono una strada rivoluzionaria, producendo l'album marillion.com soltanto grazie all'apporto sostanziale ricevuto dai propri fan attraverso il sito ufficiale. L'album in quella occasione inaugurò il distacco dall'etichetta discografica e dimostrò che un gruppo poteva auto-prodursi contando soltando sui propri sostenitori: una concezione decisamente pionieristica, soprattutto se si tiene conto che nel 1999 non si parlava di vendita online ne' di nulla di simile. Gli Einsturzende Neubauten, ad esempio, intraprenderanno una strada analoga soltanto diversi anni dopo.

A distanza di nove anni da quell'esperimento, la band di Steve Hogarth ha deciso stavolta di fare un passo ancora più estremo, e di distribuire il quindicesimo album, Happiness Is The Road, direttamente attraverso il circuito P2P, in modo assolutamente libero e gratuito. Viene così violato un tabù che vede nel peer to peer il nemico assoluto.

I Marillion spiegano sul loro sito il meccanismo che c'è dietro questa scelta. Innanzi tutto va detto che il disco verrà distribuito anche in forma tradizionale, per tutti quelli che desiderano possederlo in CD - ed è stato infatti già pre-ordinalto da numerosi fans. La versione messa a disposizione dalla band attraverso i canali peer to peer utilizza invece la tecnologia Music Glue.

Grazie a questo sistema, quando un utente del P2P scaricherà una delle canzoni dell'album, sul suo PC apparirà una finestra interattiva con un messaggio della band, che fornirà informazioni sull'album, notizie sul gruppo e sul prossimo tour, e rimandando anche alla possibilità di acquistare merchandise da marillion.com. L'ascolto della traccia sarà consentito tramite questa finestra, ma verrà fornita l'opzione di inscriversi alla mailing list, il che garantirà anche l'accesso ad una versione DRM-free del brano.

La soluzione appare un po' complessa ma va nella direzione di avvicinarsi al mondo dei downloader, con il tentativo di sensibilizzare questi ultimi sulla necessità per un gruppo musicale di ottenere un sostegno economico dai propri ascoltatori, affinchè possa proseguire nell'attività e sopravvivere.

I Marillion nel proprio comunicato condannano l'uso selvaggio del peer to peer, ma contemporaneamente sottolineano l'aspetto, evidentemente ignorato dalle etichette, che il fenomeno ha ormai raggiunto un'espansione tale da non poter essere combattuto a colpi di denunce. Una strada che finora non ha portato alcun risultato, se non quello di aumentare la distanza tra utenti e produttori di musica.

La scelta ha generato qualche malumore tra i fans che hanno pre-ordinato l'album, ma è bene argomentata dal gruppo ed appare ancora una volta intelligente e lungimirante. Chissà quando i grandi gruppi industriali che tengono in mano il mercato della musica riusciranno ad avere delle idee della stessa portata.

19 settembre 2008

Motörhead forever

Appena sfornato ed eccolo qua, che mi guarda torvo dalla scrivania.
Motörizer è il ventiquattresimo disco di studio dello storico gruppo capitanato da Lemmy Kilmister, i cui inizi sembrano perdersi nella notte dei tempi (benchè risalgano alla fin fina a "soli" 30 anni fa).
Una discografia invidiabile, ma che ha corso, e corre, il rischio di riempirsi di titoli non essenziali e di perdere per strada qualità e integrità.
Eppure anche stavolta, come al solito, si parla di un album "sempre uguale" che però suona ai massimi livelli, come se un tocco magico consentisse ai tre Motörhead di continuare a "fare ottimo rock'n'roll" (parole loro) e di evitare le trappole del tempo, nelle quali invece cascano a turno tanti loro colleghi (se sto pensando ai Four Horsemen? si, ad esempio).

Motörizer si apre velocissimo e potente, come da tradizione, e se non fosse per la produzione potrebbe sembrare un album di 10, 20 o anche 30 anni fa. Il che può essere sia un male che un bene, ma visto il risultato viene da propendere per la seconda ipotesi.
Inutile stare qui a fare una lista con tanto di titoli e commenti: basti sapere che al primo seguono altri dieci brani che, pur con qualche leggera sbavatura qua e là, snocciolano l'alfabeto del rock (o del metal, se volete) in modo convincente e perentorio, e i 63 anni di Lemmy quasi quasi ti convincono che si può invecchiare in modo più che dignitoso.

15 settembre 2008

Addio a Rick Wright

Richard Wright, tastierista dei Pink Floyd, se n'è andato stamattina, dopo una malattia che l'ha rapidamente stroncato.

Non sto a riassumervi la biografia di Wright, per la quale basterà consultare la pagina apposita su Wikipedia.

Mi va piuttosto di ricordare il suo grande contributo (forse tuttora sottovalutato) come compositore, che ha espresso solo nel primo periodo (1967-73) della storica band inglese, per la quale realizzò da solo diversi brani e partecipò alla creazione di molti altri.

Indimenticabile inoltre il suo contributo come tastierista all'album Wish You Were Here, un classico intramontabile ed indiscusso.

Penso che chiunque si sia accostato alla musica, e ve ne sia appassionato, non possa non essere stato affascinato in un qualche periodo della propria vita dalla magia emanata dagli album dei Pink Floyd. Parte di quella magia era racchiusa in quest'uomo, alla cui memoria va ora tutto il nostro affetto.

14 settembre 2008

Pioggia di singoli per i Cure (con scaramanzia)

Per l'ormai imminente uscita del loro nuovo album i Cure hanno seguito una strategia quanto meno inusuale.

Sono due gli aspetti interessanti, al di là della musica (di cui parlerò più in là): uno, di carattere più mondano, è legato alla cadenza delle uscite, che pare legata a questioni squisitamente scaramantiche; il secondo è più sostanziale e denota una strategia commerciale piuttosto originale e, per i tempi, del tutto contro corrente.

Esaurisco brevemente il primo aspetto: l'album sarà il tredicesimo della carriera di Robert Smith & Co.
Come tradizione ormai dal 1992, giunge a 4 anni dal precedente (nel '92 usci Wish, nel '96 fu la volta di Wild Mood Swings, nel 2000 di Bloodflowers, mentre The Cure risale al 2004). A rimarcare il numero 13, è stato deciso che 4:13 Dream (titolo che dopo vari tentennamenti pare definitivo) uscisse il 13 settembre, preceduto da 4 singoli, le cui date di uscita sono state fissate per il 13 maggio, 13 giugno, 13 luglio e 13 agosto. Slittata poi l'uscita dell'album al 28 ottobre, la data del 13 settembre è stata coperta dall'uscita dell'Ep Hypnagogic States, che contiene remix dei 4 brani già pubblicati come singoli.

Il piano ha creato non poche difficoltà al gruppo, con uscite che in realtà sono state piuttosto casuali nei diversi paesi, ed hanno fatto saltare il giochetto del 13. Ma in questo non mi addentro.

Più interessante è la scelta di pubblicare ben 4 singoli da un album non ancora uscito, ed in un'epoca in cui l'industria punta sempre meno sulla vendita del CD come oggetto fisico. A complicare le cose, l'idea di configurare questi 4 singoli in un formato che si potrebbe definire "nostalgico": i brani per ogni CD infatti sono stati solo 2, come se fossero i due lati di un 45 giri in vinile, con il "lato A" tratto dall'album in arrivo (seppure in versione editata apposta per il singolo) e il "lato B" inedito.
Questo tipo di uscita solletica sicuramente il collezionista (che è portato ad acquistare i 4 singoli per accaparrarsi i 4 inediti) ma va contro la strategia corrente di trasformare ogni singolo in una specie di EP: negli ultimi anni i singoli sono in genere arricchiti da versioni remix, inediti, live, video e chi più ne ha più ne metta.

Qui va apprezzata, semmai, la "purezza" di un'operazione che rimette la canzone al centro del prodotto, pur chiedendo un certo esborso all'appassionato - e rischiando, dall'altro lato, di vedere una pioggia di resi delle copie potenzialmente invendute. Ci vuole, insomma, un certo coraggio, anche pensando che le recenti scelte di altri grandi nomi (vedi Radiohead e NIN, solo per citarne alcuni) sono di segno opposto: download gratuiti, vendita solo su internet.
Per ora pare che i Cure ci abbiano azzeccato: i singoli sono nelle classifiche di vendita e sembrano aver incontrato un discreto consenso.

...E la musica? Attendo l'uscita dell'album, poi ne riparliamo.

5 settembre 2008

Ten Stones

I Wovenhand di David Eugene Edwards giungono con questo nuovo Ten Stones al quarto capitolo dell'avventura iniziata nel 2002, come progetto parallelo al gruppo folk gothic dei 16 Horsepower, poi definitivamente sciolti.

Il gruppo stanutitense ha fin qui centrato tre splendidi album dal mood cupo e introverso, attraversati però da forti tensioni drammatiche, capaci di fare presa sulla sfera più emozionale dell'ascoltatore.

In particolare Consider The Birds (2004) aveva definito in modo molto convincente i tratti del mondo Wovenhand, elementi confermati poi nel successivo Mosaic (2006).

Il nuovo ten Stones spariglia un pò il gioco, riprendendo degli elementi dai 16 Horsepower e soprattutto rimettendo al centro soluzioni più tipicamente rock, sempre ovviamente marchiate dalla personalità inconfondibile di Edwards. Si tratta di un nuovo tassello nella produzione di questo cantastorie con un piede affondato nel passato e l'altro piantato nel presente, il cuore gravido di inquietudine e nessuna visione del futuro.

Roba per malinconici, si dirà, ed è vero: ma in un genere dove è fin troppo facile rendersi parodia, questo è un album da accogliere con grande rispetto e ammirazione.

Nel frattempo, è stato pubblicato un bel live doppio dei 16 Horsepower, che mette riparo al live stampato qualche anno fa che non faceva dell'aspetto tecnico il proprio punto di forza. Stavolta invece all'eccellente verve esecutiva della band fanno da contraltare un'edizione curata con tutti i crismi e una qualità audio più che discreta.

Un bel paio di uscite da cogliere al volo, per tirarsi giù il morale quando necessario.

Burroughs is a Virus

William Burroughs, oltre ad essere considerato uno dei più grandi scrittori del novecento, è stato un figura decisamente trasversale, capace di affascinare artisti di campi diversi e di esercitare su di loro un'influenza potentissima.

Sono innumerevoli i musicisti che hanno citato lo scrittore americano come ispirazione, e per rendersi conto di ciò basta pensare a quanti nomi di gruppi e titoli di canzoni siano stati tratti da titoli o parti di sue opere: si va dai Soft Machine, che presero il nome dal titolo di un racconto, agli Steely Dan, che si battezzarono da un'espressione che appare in "Naked Lunch", fino alla nota hit dei Duran Duran Wild Boys, dal titolo di un suo romanzo.

Eppure Burroughs dichiarò di non amare molto il rock, e di non ascoltare molto nessun genere di musica (e lo ripete proèrio in questo libro), sebbene fosse invece estremamente interessato ai movimenti che generavano i nuovi stili musicali o che traevano da questi ultimi linfa vitale. Fu amico di diversi musicisti, e tantissimi altri li conobbe ed ebbe modo di intervistarli o di condurvi conversazioni sugli argomenti più disparati.

Questo volumetto della benemerita Coniglio Editore raccoglie alcune interviste tra quelle pubblicate nel corso degli anni dalle riviste musicali, che coinvolgono personaggi noti del mondo della musica, a loro volta estremamente influenti sull'immaginario collettivo e su altri artisti: Bowie, Patti Smith, i Devo, Blondie. Più che interviste sembrano conversazioni tra amici, ed è proprio per questo che svelano più di quanto non sembrerebbe a prima vista.

Gli argomenti spaziano dalle scoperte scientifiche dell'epoca agli esperimenti condotti da Burroughs (con le proiezioni, col cut-up, con le registrazioni audio, con le droghe), dalle esperienze di viaggio alla musica contemporanea, dalla politica alla letteratura, e così via.

Una lettura decisamente interessante, che purtroppo risulta molto appesantita da un monumentale impianto di note, degno forse più di un testo universitario che di quello che, in definitiva, è solo un testo divulgativo. Più di metà delle lunghissime note avrebbe potuto essere abbreviato o abolito senza che se ne perdesse in chiarezza ne' in completezza d'informazioni.
E' certamentei utile trovare qualche info in più su autori e articoli semisconosciuti che vengono citati qua e là, ma ho trovato davvero fastidioso spezzare la lettura per venire edotto su cosa siano "Life" e "Newseek" (con dettagli su anno di fondazione, nomi degli editori...) o su chi fosse John F. Kennedy.

Peccato anche per la copertina - che per essere franco trovo decisamente orribile - che non rende un buon servizio al volume, presentandolo come qualcosa che non è: si voleva forse porre l'accento su elementi come droga e perdizione, di cui alla fin fine nel libro ci sono ben poche tracce.

Ciò detto, ne consiglio comunque la lettura, sia per l'interesse intrinseco, sia come incoraggiamento ad un editore che in campo musicale sta cercando di pubblicare qualcosa di valido e non le solite biografie dei Tokio Hotel (se state leggendo qualche anno dopo la pubblicazione, sostituite il nome citato con quello del gruppo inutile di turno).

3 settembre 2008

Rough Trade

Mai stati a Londra?

Io, nonostante l'ormai veneranda età, non c'ero mai andato prima di questa estate.

Tutti sappiamo che si tratta di una città in cui ci sono fin troppe cose da vedere, e che prima o poi vale la pena di visitare. Ed è risaputo che per gli appassionati di musica è una meta pressochè obbligatoria.
In realtà la città ha gradualmente perso la sua centralità nella produzione musicale, che era una forte caratteristica degli anni '80, e non offre più la visione di una attività frenetica in questo campo, così come è ormai difficile imbattersi nel classico punk con abbigliamento d'ordinanza, a meno di andare a farsi un giro a Camden Town.

La capitale inglese conserva però anche da questo punto di vista il suo fascino storico, ed offre due notevoli vantaggi ai collezionisti di dischi: è piena di negozi (alcuni molto specializzati) ed offre prezzi che in Italia possiamo anche sognarci (quello medio per un CD è sulle 10 sterline, non più di 12-13 sterline per le novità freschissime, special price a 5 sterline).

Quello che vedete nella foto (non l'individuo in primo piano, quello sono io) è Rough Trade, un punto di riferimento storico per tutti gli amanti della musica new wave, post-punk e alternative degli ultimi tre decenni.

Il negozio di dischi ha aperto nel 1976, con lo storico punto vendita di 202 Kensington Park Road, a Notting Hill. Inizialmente importava dischi dagli USA e dalla Giamaica, focalizzandosi però rapidamente sulla nascente scena punk e new wave e privilegiando le autoproduzioni.

Nel 1978 fu fondata la "Rough Trade Records" che diede l'avvio ad una propria produzione, dando alle stampe nomi come Stiff Little Fingers, Swell Maps, Raincoats, Cabaret Voltaire e molti altri.

Nel 1982 il negozio e la label, per motivi di spazio, si separarono, ed il primo fu quindi spostato al 130 di Talbot Road, mentre l'etichetta metteva sotto contratto gli Smiths. Nel 1988 fu aperto un scondo negozio di Covent Garden, al 16 di Neal's Yard.

Di recente, nel 2007, il negozio in Talbot Road è stato rinnovato, ed è stato aperto un nuovo punto vendita di grandi dimensioni, denominato "East End shop", in Brick Lane. Il negozio include un coffee shop, un palco per performance, un internet point e molto altro.

Una specie di paradiso... o un inferno, se sul momento non avete a disposizione la quantità di denaro necessaria ad acquistare le dozzine di CD introvabili che avete appena trovato. Ora capite perchè nella foto mi potete ammirare desolatamente accasciato sull'accogliente tavolo fuori al negozio. Sto decidendo a cosa rinunciare. E non è un bel momento.