5 febbraio 2011

Il contenuto inedito dei Gang of Four

Ricordati da un critico di Rolling Stone come "la migliore tra le band motivate politicamente nel rock'n'roll", i Gang of Four sono stati tra i più importanti espondenti del post punk inglese tra la fine dei '70 e i primi '80.

Con la loro miscela di punk, funk e dub, il quartetto ha realizzato almeno un paio di capolavori (l'eccellente Entertainment e l'appena inferiore Solid Gold) prima di ammorbidire la formula con una vena dance e infine sciogliersi dopo il quarto album nel 1984.

Ad un paio di riunioni estemporanee negli anni '90 ne è seguita un'altra più duratura nel 2004, che pur con qualche cambio di formazione è durata fino ad oggi, attorno ai punti fermi dei membri storici Jon King ed Andy Gill.

La riunione aveva finora prodotto soltanto un album doppio di reinterpretazioni di brani dai primissimi album e remix , ma adesso arriva il primo disco di materiale inedito. La buona notizia è che l'attesa è stata ripagata dall'arrivo di Content, un album che dal punto di vista qualitativo è la migliore prova della band dai loro tempi d'oro dei primi anni '80. Non si interpreti però in modo troppo entusiastico quest'ultima affermazione: i dubbi ci sono, mitigati dal fatto che alcuni pezzi brillano particolarmente.

She Said You Made A Thing Of Me e You Don't Have To Be Mad aprono l'album in modo brillante: ritmi spezzati, chitarre nervose e voce arrabbiata, due buone prove new wave che sembrano davvero venire dal passato, anche se viene meno la ballabilità che era il marchio di fabbrica dei primi Gang of Four. A Fruitfly In The Beehive è una bella ballata confezionata con sonorità interessanti, You'll Never Pay For The Farm un altro convincente tuffo nel passato. Ma in alcuni casi si sente una certa mancanza di ispirazione ed anche la produzione non sempre aiuta, vedi gli eccessi sonori di I Can't Forget Your Lonely Place oppure il brutto ritornello di Who Am I.

Nel complesso, di supera abbondantemente la sufficienza, e il disco si riascolta volentieri, peccato però per la mancata realizzazione di quello che rischiava di essere un capolavoro se ci fosse stata maggiore costanza, e invece sarà soltanto un buon disco da riascoltare di tanto in tanto.

2 febbraio 2011

Ma chi è Anna Calvi?

Anna Calvi è un nome che ci ha ossessionato un po' negli ultimi mesi. Cantautrice britannica di origini italiane, lanciata dalla BBC, la bella cantante / chitarrista nata nell'82 è stata definita "la nuova PJ Harvey", è stata accostata a Nick Cave, per lei hanno scomodato accostamenti con chiunque da Nina Simone a Maria Callas.

Inutile dire che ero preparato, all'arrivo di questo album, ad un capolavoro (possibilità: 1%) oppure ad una inenarrabile fetecchia (possibilità: 99%).

Sono rimasto sorpreso in quanto nessuna delle due cose si è avverata. A mia parziale discolpa osservo che se negli scorsi anni la stampa britannica non avesse acclamato una successione di scartine come "next big thing" di turno, forse avrei imbroccato una previsione più sensata.

Diciamo innanzi tutto quello che va detto: Anna Calvi è brava, molto brava. Accompagna una voce suadente, capace di essere sussurro o potenza, ad un indiscutibile magnetismo personale. Suona la chitarra in modo più che apprezzabile, volendo fa tutto da sola (guardate uno qualsiasi dei bei video su YouTube), tiene la scena come pochi e sfoggia uno stile quanto meno interessante.

E quindi? Quindi il punto debole sono le canzoni. Il disco non è male, ma non è neppure memorabile. Ascoltatelo e ditemi se dopo qualche ora vi torna in mente una sola nota. Supera di gran lunga la sufficienza, ed è meglio di qualsiasi cosa abbia fatto la citata PJ Harvey negli ultimi tre lustri (non che ci volesse molto), ma prima di poter capire se abbiamo davvero di fronte quello che ci è stato promesso, dovremo aspettare il prossimo giro. Per adesso, tengo il giudizio in sospeso.