3 aprile 2009

Rivoluzione Mastodon

Ogni tanto esce un album che lascia sorpresi, che spiazza fans e critica, che non si sa come definire, che è difficile confrontare con ciò che già si conosce.
Accade una volta ogni dieci anni, e si tratta di dischi che si potranno utilizzare in futuro per fare riferimento al "prima di" e al "dopo di".

Forse Crack The Skye dei già grandissimi Mastodon non sarà uno di questi album (questo lo potremo verificare tra un po'), ma ha tutte le carte in regola per entrare di diritto in questa categoria.

La band di Atlanta è al quarto album ed ha già meritato lo status di campioni del prog metal. Potenti, dotati di eccellenti doti compositive, tecnicamente preparatissimi, ma soprattutto artefici di un suono epico ed oscuro gravido di atmosfere, i quattro musicisti statunitensi avevano già dimostrato nei primi tre album - Remission del 2002, Leviathan del 2004, Blood Mountain del 2006 - di poter aspirare a sedere nell'empireo dell'heavy più complesso e cerebrale.

Crack The Skye però fa un doppio salto mortale in avanti nell'evoluzione della band, e genera nelle proprie sette tracce un vero e proprio fenomeno di distorsione spazio-temporale. A quale anno appartiene quest'album? Da quale pianeta vengono i musicisti che lo hanno composto? Queste le prime domande che mi sono spuntate in testa già al primo ascolto, e che sono sicuro di aver condiviso con molti altri.

Alle complesse strutture dei brani ed agli arrangiamenti da primi della classe, queste tracce aggiungono un gusto per la psichedelia e per l'introspezione che risultano molto rare per il genere, e che aggiungono un sapore vagamente retrò al sound dell'album. Si mescolano infatti pesanti influenze dagli anni '70 e '80 (ognuno potrà sbizzarrirsi a citare i riferimenti), che danno però vita ad un sound che riesce a donare a questo nuovo sforzo dei Mastodon un sapore del tutto nuovo.

Qualche fan, soprattutto chi era più legato agli elementi più aggressivi che abbondavano nei primi album, potrebbe restare deluso dagli arrangiamenti e dalla produzione di Brendan O'Brian, ma chi ha le orecchie aperte alla sperimentazione sarà d'accordo nel riconoscere nei 50 minuti di Crack The Skye i germi di una rivoluzione sonora di cui il metal di fine decennio aveva decisamente bisogno.

Al di là dell'eccellente lavoro strumentale, sono le armonie vocali a fare la differenza, dando vita ad una straordinaria intensità e ammantando le canzoni del fascino di cui sono dotati i grandi classici. Mi pare inutile un'analisi delle singole tracce: la musica scorre in un unico flusso dal primo istante all'ultimo, senza cali di tensione, in un epico incedere di genialità creativa.

Se amate il metal, e se amate la musica in generale, questo album deve necessariamente entrare nella vostra collezione.

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