5 aprile 2012

Killing Joke, 2012

Non starò qua a ripetervi dell'importanza dei Killing Joke nella storia del post-punk, e della mia adorazione nei confronti di questa fondamentale e longeva band. Vi rimando per questo ai miei post più vecchi, ad esempio quello dedicato al precedente Absolute Dissent.

A soli due anni di distanza tornano con MMXII, il loro quindicesimo album di studio, e il secondo dalla rifondazione della formazione originale, ricostituitasi dopo la morte del bassista Paul Raven.

La formula sonora è molto simile a quella dell'album del 2010: un misto di riff granitici, ritmiche possenti, con la voce rabbiosa di Jaz Coleman quasi sempre al limite dell'urlo e synth sferzanti a fare capolino qua e là, anche se i quattro hanno in questo caso pescato anche dal proprio passato più orecchiabile (vedi il singolo In Cythera, con echi evidenti dell'album Night Time). Ma si tratta di incursioni occasionali, concentrate per lo più a metà scaletta (Primobile è l'altro brano in cui il cantato si fa più melodico e accessibile), perchè a farla da padrone è ancora quel muro sonoro quasi feroce che il lavoro precedente ci aveva presentato in tutta la sua intransigenza.

Il quartetto sembra essersi compattato alla ricerca di una riaffermazione della propria sacrosanta superiorità sugli innumerevoli imitatori che hanno fatto incetta della loro influenza negli anni '90. E l'operazione è perfettamente riuscita, considerato che dal punto di vista musicale questo disco non ha nulla da invidiare a nessuno, e che i momenti che maggiormente rammentano il primo storico album omonimo del '79 (vedi ad esempio la potentissima Glitch) hanno i piedi piantati indiscutibilmente nel presente come nel passato.

Ma il punto di forza principale, ancora una volta, sta nelle liriche di Coleman, di attualità pressante, che attaccano a testa bassa su fronti aperti quali il disastro ambientale (la lunga opener Pole Shift) , la politica repressiva degli Stati Uniti (Fema Camp) e in generale sull'atmosfera da fine del mondo che caratterizza questo critico 2012, pur facendo emergere qua e là momenti di speranza militante. Un invito a non stare solo a fare da spettatori, ad accendere il cervello e magari a lottare per l'unico mondo che abbiamo.

2 commenti:

Overthewall91 ha detto...

Quest'ultimo album mi ha lasciato perplessa.E' un buon disco, tutto è perfetto o quasi, ma dopo i primi ascolti l'ho abbandonato e non l'ho più ripreso.

Michelangelo ha detto...

In effetti è capitato anche a me, ma io ascolto troppi dischi e questo mi accade a volte anche per motivi di semplice distrazione o mancanza di tempo.
È vero comunque che dopo diversi buoni album che hanno contribuito a definire il nuovo stile dei KJ, questo album manca di qualsiasi elemento di novità. Ottime composizioni, buona prova esecutiva, ma il disco non si pianta nella memoria. Lo riascolteremo con piacere quando ce lo saremo dimenticato.