15 agosto 2009

Colonna sonora per un ferragosto di città

Mi sveglio presto, fa già molto caldo, ho mal di testa. Le giornata inizia ma non vuole iniziare, l'aria viscosa mi manipola in modo molesto, muovermi mi causa fastidio. E' necessario qualcosa di lieve, che non cerchi di darmi una spinta che non tollererei, ma che mi coccoli un po', mi faccia sentire a casa. From the Heart degli Shadow Project mi sembra la scelta migliore. Le voci decadenti di Rozz Williams ed Eva O, che spiccano sugli arrangiamenti delicati di quest'album, mi tengono in piedi mentre preparo i primi due caffè della giornata.

Dopo questo inizio, è difficile proseguire senza scossoni. Scelgo Cold dei Lycia, un album che dovrebbe far pensare alle distese siberiane ma che a mio modo di sentire si adatta perfettamente anche ad un Sahara desolato e cementificato come la Milano del 15 di agosto.
Quest'album è un plagio raffinatissimo di tutto il repertorio 4AD degli anni '80, rimescolato con una sensibilità tipicamente americana. Monotono, ripetitivo, quasi interminabile: i suoi pregi che sono, volendo, anche i suoi difetti (due categorie che spesso coincidono).

Prima di mezzogiorno decido di uscire a fare un giro in bicicletta. Se devo morire per la temperatura e l'afa, voglio che accada in modo eroico, mentre pedalo stoicamente nell'ora più calda dell'anno. Mi accompagna Ballate per Piccole Iene. Per diversi motivi. Perchè gli Afterhours sono la mia colonna sonora di questo agosto. Perchè glielo devo, perchè anni fa li ho snobbati, e perchè loro lo devono a me, per la tristezza che mi infondono. Per quella piccola iena che uccide ma non vuol morire. Per il suono sincero di quest'album maturo che suona come un'opera prima. Perchè l'amore è una malattia dalla quale non si sa guarire.

Sulla strada del ritorno cambio tutto. E' necessario che nel lettore scivoli qualcosa come Infini dei Voivod perchè io abbia la forza di tornare indietro, di non svenire per strada, di non lasciar andare la ruota anteriore della bicicletta nei binari del tram, così da rompermi la testa sul pavè.
Che grande album, quest'ultimo dei canadesi.
La cosa che amo di più dei dischi dei Voivod è che ogni volta che li ascolto li trovo un po' più belli, un po' più incredibili, un po' più imprenscindibili.
E, ora e sempre, onore a Piggy, eroe immortale nel paradiso del metal.

Pomeriggio a casa. Gli occhi incollati allo schermo del PC, le dita lente sulla tastiera, mentre dalle casse dello stereo si spandono con cupa indolenza le note di Blues For The Red Sun dei Kyuss.
Un disco nato dal deserto, che non si può non ripescare il 15 di agosto.
Cupo, sudato, pesante, ipnotico, lento, distorto, psichedelico, valvolare, tellurico, rovente, brutale, acido, corposo, pulsante, un lungo inno lisergico che macina tutto l'hard rock dei settanta e lo filtra in un amplificatore per basso.

Nel tardo pomeriggio mi trascino sul lenzuolo, trasformandolo subito in sindone. Eleggo Second Edition dei PIL a traghettatore nel mondo dei sogni confusi che seguiranno. Un disco che rappresenta i miei sedici anni, ed è soprattutto per questo che prediligo l'edizione "normale", quella senza il famoso "metal box": per la copertina che ho amato negli anni '80. Dire di quest'album qualcosa che non sia stata già detta, e molto meglio, mi risulta impossibile. Lascio allora che il basso di Jah Wobble e la voce stidula di John Lydon si scolpiscano fluttuando nella stanza, mentre vi si sovrappongono immagini oniriche della mia camera di adolescente.

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