10 settembre 2009

Clan Of Xymox: In Love We Trust

Il nome Clan of Xymox costituisce per il sottoscritto la chiave per una dimensione magica: un mondo alternativo sotterraneo nel quale scoprivo di volta in volta i personaggi della new wave più torbida e ammaliante. La porta l'avevo trovata in un negozietto di dischi che aveva un intero scaffale dedicato alla 4AD, dal quale pescavo di volta in volta, a scatola chiusa, album di artisti sconosciuti le cui copertine entravano in risonanza con i miei occhi affamati di emozioni. Appena avevo in tasca la somma necessaria, visitavo quel piccolo tempio e ne portavo via un'icona, gustando fino a casa l'attesa per una scoperta che non ricordo mai deludente.

Fu così che prima il secondo album Medusa, e poi il primo disco omonimo, entrarono a far parte di una collezione che aveva appena iniziato a crescere - fino a diventare oggi un mostro a troppe teste.

Dopo quei primi due album, sui quali non posso spendere parole che non siano iperboliche ed eccessive, i Clan of Xymox cambiarono pelle riducendosi a Xymox e imboccando la strada di una dance che, seppur lugubre e alternativa, fece loro perdere una parte dell'originale fascino gotico. Lì li persi di vista.

Ronny Moorings, unico membro stabile dalla formazione originale, fece però rivivere i Clan of Xymox nel 1997, con un disco di ottimo spessore, che riprendeva in modo sapiente il vecchio stile fondendolo con quanto accumulato nell'esperienza dance: nasceva Hidden Faces, un album tetro e al tempo stesso ammiccante, che ha oggi lo status di piccolo classico del genere.

Sono seguiti l'ottimo Creatures e via via altri 3 album nei quali la formula è stata ritoccata di poco, con una preponderanza altalenante tra i pezzi da dancefloor alternativo e le tirate gotiche alla Sisters of Mercy.

Giunge ora il sesto lavoro di questa seconda vita del Clan: In Love We Trust, al quale è affidato il compito di risollevare le sorti del moniker dopo le recensioni non sempre favorevolissime destinate al precedente Breaking Point.

Fatto salvo che competere con la propria stessa storia è impresa difficilissima, dai primi ascolti mi pare che il buon Ronny (compositore, esecutore e produttore di tutto il materiale degli ultimi dischi) stia perdendo un po' la capacità di creare le gemme di cui aveva costellato gran parte della produzione fino a un paio di album addietro. Questo nuovo lavoro rigetta in parte le sonorità più danzerecce del precedente, e si immerge in una atmosfera più oscura e intima, pur conservando l'armamentario di synth e batterie elettroniche che fanno da marchio di fabbrica del progetto. Nonostante gli splendidi arrangiamenti non riesce però a infilare dieci composizioni convincenti su dieci, con una scrittura che oscilla tra il decente e il buono, mancando l'obiettivo evidente di tornare ad eguagliare i propri vertici.

Ciò detto, l'album supera di gran lunga la sufficienza e perde di fascino solo in questa operazione di confronto. Se questo fosse il livello medio delle uscite electro/goth, ci sarebbe di che rallegrarsi. D'altronde, ripetersi è sempre un rischio, anche per i più grandi.

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