3 ottobre 2010

Black Mountain al terzo capitolo

I Black Mountain meritano una menzione d'onore per aver realizzato la classica missione impossibile. Hanno mescolato influenze assortite dagli anni '70, hanno usato solo strumentazione assolutamente "vintage" dell'epoca, hanno adottato un abbigliamento hippy in puro stile "peace & love", hanno puntato su cose davvero arcaiche come "psichedelia", "riff hard rock", "space rock", tutto questo senza sembrare pezzi da museo dal sentore di naftalina, ma anzi facendosi apprezzare a destra e a manca come genuina novità in questi anni '00 dall'identità evanescente.

Il terzo album giunge come conferma di un gruppo che ormai non ha nulla da dimostrare, anzi può permettersi di giocare con la propria formula sperimentando qualcosa di diverso. Abbandonati dunque - credo temporaneamente, ma questo si vedrà - i brani lunghi e strutturati, e accantonati i riff più hard e gli elementi più "estremi" del repertorio, nel nuovo Wilderness Heart i nostri sfoggiano l'anima più pop, con canzoni da tre minuti che delizieranno i nostalgici delle classifiche dei seventies, lasciando magari più freddi quelli come me che amavano i momenti più heavy e le cavalcate psichedeliche.

Si tratta senza dubbio di un disco godibile. Come già detto, non mi fa impazzire, ma si sente tanto mestiere ed una vena melodica non comune. È un tassello in quella che potrebbe diventare una storia anche molto lunga se la band saprà continuare a reinventarsi e non si farà spazzare via con la moda della strumentazione polverosa e delle foto virate sul rosso in stile "vecchie vacanze di papà e mammà", un filone che certamente diventerà stantio nel giro dei prossimi mesi.

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