1 ottobre 2011

dEUS will keep me close

Keep You Close è il sesto capitolo della mutevole storia dei dEUS, una delle realtà musicali più strane e affascinanti di questo secolo.

La storia della band belga, sulle scene da ormai 17 anni, si divide in due sezioni principali. La prima si apre - discograficamente parlando - nel 1994, con Worst Case Scenario, un album che mescola un tale numero di influenze da non consentire neppure di citarle tutte: si va dal punk al prog, dal jazz al funk, un'orgia zappiana per la quale fu coniato l'appellativo di "Art Rock" (etichetta che il leader Tom Barman ha sempre rigettato). Vi fa seguito In A Bar, Under The Sea, rilasciato nel 1996, che resta sostanzialmente nella scia del debutto. A sorpresa, il successivo The Ideal Crash nel 1999 sfoggia una maggiore accessibilità, pur restando "altro", in un tentativo forse non riuscitissimo di fondare un "nuovo pop", che mescolasse melodia e cerebralità.

Qui la band, segnata da abbandoni e cambi di formazione, chiude il primo ciclo. Torna nel 2005 con Pocket Revolution, stavolta un album perfetto, dove l'alchimia tentata qualche anno prima funziona in modo quasi miracoloso. È uno dei dischi più significativi del decennio, e per inciso sbaraglia le vendite dei precedenti, pur suscitando ovvie discussioni tra i fan della prima ora. Lo segue tre anni dopo Vantage Point, un disco inafferrabile, che bissa in modo inaspettato le vendite del precedente pur essendo melodicamente meno accattivante e più sperimentale in senso stretto.

A questo punto, non sapevo predire cosa avrebbero combinato i dEUS. Temevo che in qualche modo si smarrissero, come pure era possibile e lecito. Invece, il nuovo Keep You Close non mi delude affatto, nel senso che mi ha spiazzato ma anche affascinato. Al primo ascolto mi sono chiesto cosa fosse, quella sorta di reazione "mah" che danno alcuni grandi dischi (ma anche alcune grosse boiate). Poi l'ho imparato a memoria in tre giorni. Mi ha riconciliato, come ogni tanto mi accade, con il concetto di pop. È un pop con radici nella musica alta, ma non per questo meno godibile. È musica sperimentale con momenti orecchiabili, ma non per questo meno interessante. È musica di dettagli, di testi cesellati con cura, ma anche una musica in qualche istante viscerale, inevitabile ma imprevedibile. Un disco di cose nuove, nell'unico modo in cui si può suonare nuovi in questo stanchissimo 2011.

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