2 ottobre 2011

Mastodon, Mastodon

Il nuovo disco dei Mastodon è giunto a casa, e mentre lui si ambienta in mezzo agli altri, a me prima di parlare della musica viene di dire immediatamente una cosa: l'artwork degli album precedenti era incomparabilmente più bello. Non ho capito questo bisogno di cambiare, e anche se la scultura in legno che fa mostra di se' in copertina è degna d'ammirazione (nel video di Black Tongue ne è documentata la realizzazione), non posso non paragonarla con una certa delusione alle fantastiche illustrazioni di Remission, Leviathan, Blood Mountain o Crack The Skye.

Detto questo, e avendo nel frattempo riascoltato l'album per la settima volta, il mio giudizio oscilla su due binari, o punti di vista, che vado ad esporvi. Prima osservazione: questo disco è stato un bel problema per i Mastodon, essendo (e non potendo essere) il seguito di Crack The Skye. Quest'ultimo era stato un enorme successo di critica e pubblico, e rappresentava la vetta della band. Un gruppo che aveva iniziato facendo di velocità, precisione e brutalità i propri punti di forza, e che aveva sommato via via gli elementi che hanno poi generato il loro attuale, affascinante blender di sludge metal, stoner rock, psichedelia, prog e svariate altre influenze anni '70. Crack The Skye, con la scelta di voci pulite, cori, strutture lunghe da concept album d'altri tempi, era stato un cambiamento importante e un vero meteorite sulla superficie del metal degli anni '00. Impossibile bissarlo, se non copiando se' stessi.

E infatti i Mastodon non cercano di rifare il disco precedente, pur non rinnegandone gli elementi, i quali sono ormai parte integrante del sound della band (vedi soprattutto l'uso dei cori e l'accento sugli elementi più psichedelici), ma non diventano predominanti. L'album a qualcuno potrà sembrare un piccolo passo indietro, caratterizzato com'è da una struttura frammentaria, tipica dei primi album del gruppo. Ma in realtà, come sempre per i Mastodon, The Hunter costituisce un mondo a se', diverso dagli altri e coerente al proprio interno (e questa era la seconda osservazione).

In nessun modo, infatti, si può dire che la qualità sia calata. È vero che c'è molto più lavoro di riff, e che a causa di questa scelta le canzoni risultino più orecchiabili, ma ciò non corrisponde certamente ad una maggiore banalità o a creazioni meno complesse. Il disco, anzi, è molto denso, e i pezzi crescono ascolto dopo ascolto, rivelando via via nuovi dettagli e trame intricate dietro una apparente semplicità. È il lavoro di rifinitura che rende così scorrevoli i brani, grazie a quella attitudine al lavoro di studio che questa band ha sviluppato notevolmente rispetto a molti propri colleghi, e che gli ha consentito anche di sollevarsi di una spanna sopra la media.

Non parlerò di rivoluzione per quest'album come avevo fatto per Crack The Skye: le rivoluzioni si fanno una volta sola, e questa è già in corso. Si tratta però di un disco molto bello, davvero godibile, che renderà molto bene dal vivo e che avrà un suo posto d'onore nella storia di una delle band metal più importanti di questi anni.

PS: e gli perdono pure il quasi plagio di All Tomorrow's Parties in Creature Lives.

Nessun commento: