29 settembre 2012

xx2

Acclamati dalla critica tutta all'epoca del primo bell'album omonimo come insperata ventata di freschezza in una scena indie avvitata su cliché stantii, i giovanissimi xx (da scrivere rigorosamente minuscolo) erano attesi come di norma al varco del secondo album, con aspettative probabilmente eccessive.

Non biasimo dunque il gruppo londinesi se ha atteso tre anni prima di dare alle stampe questo nuovo Coexist, e non mi sorprende neppure che le scelte sonore, a dispetto di annunci e indiscrezioni che volevano una sterzata di stampo più elettronico, siano sostanzialmente ferme a quelle del precedente album omonimo.

Ridotti a terzetto dopo l'uscita della chitarrista e tastierista Baria Qureshi (a quanto affermato dai tre superstiti, si sarebbe trattato di una scelta del gruppo più che di un abbandono spontaneo), gli xx hanno scelto di puntare nuovamente su bozzetti minimali, armonie esili sostenute da poche note strumentali e una sostanziale predominanza dell'intreccio tra le voci sussurrate di Oliver Sim e Romy Madley-Croft.

Il disco è gradevole ma non raggiunge i vertici del primo. Il problema principale sta in una certa piattezza del materiale proposto, che è troppo omogeneo e non presenta grande diversità ad eccezione di due brani soltanto che spiccano sul resto: Fiction e Missing.

Devo dire di non essere deluso perchè non mi aspettavo nulla: troppo esile la formula per consentire di dare un seguito solido alla manciata di canzoni del 2009, troppo alte le attese per permettere alla band di sterzare troppo da quella formula. Vedremo al terzo giro, magari tra qualche anno.

Ah, un'ultima cosa: vorrei dire a quelli della Young Turks Records che rifare una copertina sostanzialmente uguale alla precedente, cambiandone solo i colori, non è un'ideona. Se lo avesse fatto qualcuno nei primi '80 (ve lo immaginate Closer con la copertina di Unknown Pleasures in bianco e nero invertiti?) gli avrebbero tirato le verze. Giusto per dire.

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