10 novembre 2011

David Lynch, la pop star

Se potessi chiedere qualcosa a David Lynch su questo suo primo CD solista, la prima domanda sarebbe se ha qualcosa a che fare con la meditazione trascendentale (pratica di cui il regista è praticante e grande sostenitore). Ma sono sicuro che la risposta sarebbe poco chiara, leggemente surreale e farebbe riferimento ad un sogno il cui il finale era straordinariamente simile al proprio stesso inizio.

Come tutti i suoi seguaci sanno, Lynch ha sempre sguazzato nella musica popolare, in particolare in quella con forti influenze anni '50. Le sue opere cinematografiche sono infarcite di brani che sottolineano momenti fondamentali della narrazione, e si è detto che Lynch usa la musica non tanto da regista quanto da appassionato: piazza una canzone nel punto in cui noi la useremmo nella nostra vita quotidiana, per darci forza, o per sottolineare un momento di tristezza.

Negli anni ha adoperato musica di diversa provenienza: l'ha appositamente commissionata, oppure ha donato nuova vita a brani altrui, tornati alla ribalta proprio grazie all'uso nei suoi film. Si va dalla classica In Heaven cantata dalla "Lady in the Radiator" in Eraserhead (canzone alla quale ho dedicato un intero post), alle famosissime musiche create da Badalamenti per Twin Peaks (e per il film Fire Walk With Me, oltre a vari altri), alla quasi scoperta di Chris Isaak (presente con propri brani sia in Blue Velvet che in Wild At Heart), alla registrazione "a tradimento" della splendida esecuzione di Llorando (versione spagnola del classico di Orbison) per Mulholland Drive. Spesso però ha anche scritto musica di suo pugno: i brani per i dischi di Julee Cruise, l'album BlueBob con John Neff. Eccetera. La lista sarebbe lunga e vi lascio partire alla scoperta di questo mondo, se vi va.

Fino a pochi anni fa però si trattava di brani cantati da altri o di musica strumentale. La voce di Lynch, dal timbro particolarissimo (stridula, molto acuta e nasale, insomma il contrario di quella che si potrebbe dire una "bella voce") ha fatto capolino per la prima volta solo di recente, nella colonna sonora di Inland Empire, dove cantava due brani: Ghost of Love e Walkin' on the Sky. Ha successivamente prestato la voce anche a due canzoni contenute nell'album Dark Night of the Soul di Danger Mouse e Sparklehorse.

Pareva si trattasse solo di uno sfizio da togliersi: a 60 anni può succedere. Ma invece deve averci preso gusto, o aver perso il senso del pudore, perchè l'album Crazy Clown Time contiene 14 tracce composte, suonate, ma soprattutto cantate da Lynch. In realtà il disco si apre (e non è un caso, secondo il mio modesto e un po' malizioso parere) con la voce dell'unico ospite: Karen O degli Yeah Yeah Yeahs, che si aggiudica anche una delle composizioni più riuscite e l'onore della prima fila.

Il disco riserva poche sorprese, ed è quanto ci si può aspettare da Lynch: blues elettrici, ripetitivi e ipnotici, dove si fa l'unico uso possibile di una voce del genere: molto effettata, in secondo piano, a volte recitata (e sono i due episodi più ostici per il pubblico casuale). Pochi tra i brani in scaletta si sfilano da questo clichè e sforano nella vera e propria dance: ne è un (ottimo) esempio il primo singolo Good Day Today (tra l'altro protagonista di un interessante contest per il miglior video).

L'album è godibile, grazie ai suoi pezzi migliori, ma non è perfettamente riuscito, un po' per l'abuso della voce dell'autore - alla lunga i vocoder stancano - un po' per una certa ripetitività nella formula destrutturata della maggior parte delle tracce. Qualche brano in meno, o qualche ospite in più, avrebbero probabilmente giovato. O forse un po' di composizione in più in senso stretto. Ciò non toglie che per gli estimatori di Lynch questo disco sia un ulteriore tassello di un mondo a se' stante, una cosa forse po' troppo da iniziati, ma quelli di voi là fuori che sanno di cosa parlo, stanno facendo segno con la testa che si, ci siamo capiti benissimo.

E poi, forse il disco ha davvero a che fare con una storia di meditazione trascendentale: sarà una di quelle idee che arrivano dal profondo, uno di quei pesci grossi che si pescano solo dopo anni e anni, e di cui noi persone comuni non riusciremo mai ad afferrare completamente il significato.

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