3 giugno 2012

John Foxx and the Maths, è già tempo di bis

Il primo album di John Foxx and the Maths, uscito solamente un anno fa, era stato un botto inaspettato: lo descrivevo allora come un album molto energico, nella migliore tradizione sintetica inaugurata dallo stesso Foxx più di tre decadi fa, e capace di far battere il piedino anche a un cadavere, pur trasudando classe e sonorità raffinate (nonchè da veri intenditori del vintage) da tutti i pori.

Il duo (non fatevi ingannare dal nome: "The Maths" altri non è che il solo Ben Edwards, anche noto come Benge), in questo secondo volume The Shape of Things si ripropone in un mood molto più pacato, ricollocandosi a metà strada tra i brani meno tirati del primo disco e le creazioni in stile ambient che Foxx ha dato alla luce negli ultimi anni, da solo o in collaborazione con altri musicisti del calibro di Harold Budd e Robin Guthrie.

La scelta è un po' sorprendente, considerato che del primo album erano state soprattutto lodate l'energia e la vitalità (oltre al gran lavoro sulle sonorità in prevalenza analogiche). L'album per i miei gusti è comunque un po' troppo sbilanciato, e presenta cadute nel ritmo che lo rendono meno godibile del primo, pur restando di molto sopra la sufficienza e confermando Foxx come uno dei maestri indiscussi del genere.

L'album si compone di otto canzoni e sei brevi brani strumentali. Questi ultimi, pur apprezzabili di per se', spezzano la continuità del disco e lasciano poca traccia nella memoria dell'ascoltatore, perdendosi in una sorta di funzione di sottofondo poco significativo.

Le otto canzoni, quasi tutte dall'incedere piuttosto lento, sono il piatto forte, a partire dall'ottima Rear View Mirror, marziale ed epica, che come altre composizioni del disco si colloca in modo perfetto nella storia personale di Foxx, della quale richiama il primissimo periodo solista. La successiva Talk rallenta ulteriormente il rirmo e ci porta in ambienti minimali, con strati di synth e cascate noise. September Town è ancora molto "vecchio John Foxx", mentre risulta un po' anonima la successiva Unrecognized. Falling Away rivitalizza un po' la collezione con l'uso di sonorità distorte che squarciano il brano usl quale Foxx recita ieratico, mentre Invisible Ray presenta una voce pesantemente filtrata su un tappeto di synth quasi alla Dead Can Dance. Nota speciale per l'ottima Vapour Trails, un salto indietro allo stile del primo album degli Ultravox!, seguita da un gioellino old school come Tides. Chiude la collezione il capolavoro dell'album, The Shadow Of His Forme Self, un brano lento ma vitale ed energico che vale da solo l'ascolto di tutto il disco.

Due le edizioni disponibili: una aggiunge un secondo CD di remix del primo album; l'altra non ha il CD bonus ma sfoggia due tracce aggiuntive: un rimaneggiamento di Talk con ospite Matthew Dear, più oscura ed inquietante dell'originale, e l'inedito Where You And I Begin, con Tara Bush.



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