14 novembre 2009

L'illusione del volo

Erano i primi anni '80.

Nel belpaese la new wave era una meteora tardiva e bistrattata, appena gratificata dall'interesse di poca stampa specializzata e di un manipolo di appasionati.

Non molti lasceranno cose memorabili, eccezion fatta per la cosiddetta scena fiorentina. E' singolare dunque che in una Bassano del Grappa ben lontana dall'epicentro del fenomeno, i Frigidaire Tango di Carlo Casale e Stefano DalCol contribuissero in modo così concreto: una ventina di canzoni appena, per la verità dotate però di un peso specifico rilevante.

Lontani dagli schemi, ed anche da quelli della stessa new wave stessa, tanto che questa etichetta stava piuttosto stretta al sestetto veneto, attraversato da influenze diverse tra prog rock, sperimentalismo, elettronica minimale, ed echi di una miriade di band anglosassoni.
Di recente mi sono sorpreso, ad un riascolto dell'album d'esordio The Cock (1982), nel notare, soprattutto per le sonorità, l'unico disco che riuscivo ad accostarvi era il primo dei Chrisma, non a caso uno dei pochi lavori italici dell'epoca ad avere un respiro internazionale.

La parabola dei Frigidaire Tango durò pochissimo e terminò già nel 1985. Da allora, per almeno vent'anni, il nome sarebbe rimasto una sorta di mito, vivo solo nella memoria degli appassionati più curiosi. A sorpresa, però, eccoli riapparire qualche anno fa, con lo splendido cofanetto The Freezer Box, raccolta della loro opera omnia, seguito da una reunion per diverse date dal vivo che riscuotono un inaspettato successo.

A coronamento di questa esperienza, giunge ora il nuovo album di studio L'Illusione del volo, prodotto da Giorgio Canali per LaTempesta Dischi. E si tratta di un disco molto gradito, che offre contemporaneamente delle sorprese e delle conferme.

La prima sorpresa è il cantato in italiano anzichè in inglese. Una scelta legata alla tradizione dell'etichetta La Tempesta, ma che si è rivelata molto felice in quanto la resa dei testi è eccellente e dimostra, se ancora ce ne fosse bisogno, che si può fare ottima musica in italiano senza apparire provinciali.

La seconda sorpresa sta nel fatto che questo non è un disco revivalistico: è un disco di rock italiano pieno d'influenze, ma che non sa di nostalgico.

Le conferme sono legate all'altissima qualità dei brani, al respiro musicalmente ampio e variegato - si contano numerose escursioni nella canzone d'autore, nel rock alternativo, nel post-punk - ed anche all'eccellente fattura del bellissimo packaging, un'attitudine già apprezzata nel box antologico.

Il disco ha qualche flessione soltanto nel mezzo, con un paio di tracce dall'impostazione troppo melodica che va fuori dalle corde naturali della band. Ottimi invece altri episodi, come l'apertura affidata alla convincente Milioni di parole, oppure il quasi-punk alla CCCP di Mescola le razze, o ancora il rock italico con giro di basso pulsante di Natural mente. E potrei citare anche Distogli lo sguardo, Le cose capite, o la splendida Preghiera che muta il Padre Nostro in una invocazione di libertà.

Ma la menzione d'onore va al nostalgico brano di chiusura New wave anthem, il cui testo è costituito da una incredibile girandola di citazioni di nomi di band new-wave. Un esperimento che poteva finire nel tragicomico e che invece ha dato vita ad una splendida canzone che conclude più che degnamente questo bel disco contemporaneo.

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