13 maggio 2008

Amori miei

Ci sono serate nelle quali non si ha alcuna voglia di pensare al presente. Il televisore resta spento, il libro sul comodino viene aperto per essere subito richiuso, il telefono viene lasciato a riposo. Lavoro, faccende, interessi, tutto appare inadeguato ad uno stato d'animo che cerca solo quiete. In serate come queste sembra impossibile dedicarsi all'ascolto di un disco nuovo, che richiede attenzione e capacità di giudizio all'erta. Ecco allora che lo sguardo scorre al setaccio i titoli, alla ricerca di dischi noti e arcinoti, il cui ascolto non possa che rilassare la mente e appagare l'animo. Sono i dischi amici, quelli che per un motivo o per l'altro hanno travalicato la propria essenza di oggetti musicali e sono giunti a rappresentare una parte di noi. In genere sono associati ad un periodo della vita, o ad una versione di se'. A volte ricordano specifici episodi, a volte hanno vissuto con noi talmente a lungo che non ci sembrano ne' vecchi ne' nuovi. Spesso sono reperti archeologici, tracce delle stratificazioni dei sedimenti umani dell'individuo che li ha accumulati.

Non sono così tanti, questi dischi, e non sempre coincidono con quelli che si ritengono più validi, più importanti, più universali, più rappresentativi artisticamente o storicamente. Non necessariamente li si considera belli, o più belli di altri.
Li si ama.

Stasera è una di quelle sere, e avevo bisogno di uno di quei dischi. Il dito si è posato su Seventeen Seconds dei Cure. Mi sono domandato quali fossero gli altri dischi che potessero stargli a fianco.
Dopo un po' di riflessione (che è stata utile a dimenticare altre faccende), sono arrivato a qualche conclusione, e ve ne rendo conto qui di seguito, con qualche veloce annotazione.
Ho scelto l'ordine alfabetico per pura comodità.

In genere non sollecito i commenti, ma in questo caso mi farebbe piacere se voleste lasciare qualche titolo di vostri dischi "amici".

* Alice In Chains Dirt (1992)

Layne Staley è la figura più tragica del grunge. Morto solo e dimenticato per gli effetti della propria dipendenza, non è assurto alla gloria di Kurt Cobain ne' allo status di figura di culto. E' un'ingiustizia assoluta, perchè Dirt è l'album più imitato degli anni '90 (merito però soprattutto della chitarra di Jerry Cantrell). Ascoltate i Black Label Society, e ditemi se non è vero. Me lo prestò un amico e fu folgorazione istantanea.

* And Also The Trees The Evening Of The 24th (1986)

Un live che testimonia il tour di Virus Meadow (secondo album della band dei fratelli Jones). Un disco intenso e vibrante, con capolavori come Slow Pulse Boy, Shantell, Gone... Like The Swallow. Ascoltato mille e mille volte, mi ricorda in particolare una serie di notti in sacco a pelo.

* Bauhaus Burning From The Inside (1983)

Del gruppo di Peter Murphy, fondamentale per la mia formazione, avrei potuto scegliere In The Flat Field o The Sky's Gone Out, ma qui ci sono brani a cui sono legato in modo più profondo (She's In Parties, King Volcano, Slice Of Life...). Un disco che ascolto sempre con piacere intenso e che mi sorprende ancora per la direzione imprevedibile che la band glam - goth - punk - wave (etc?) stava prendendo. Peccato non ci sia stato un seguito.

* Biosphere Patashnik (1994)

Un'immersione negli spazi più profondi, esterni ma soprattutto interni. Suoni glaciali, ritmi jungle sottilissimi e voci tratte da film di fantascienza (epocale il primo brano affidato alle due raggelanti gemelle che recitano "I had a dream last night / We had the same dream"). Un album che ascolterei all'infinito e che mi ricorda un'estate lontanissima.

* Black Sabbath Black Sabbath (1970)

Un disco che non bisogna spiegare. La voce di Ozzy e la chitarra di Tony Iommi definiscono coordinate che resteranno scolpite nella storia della musica. Un album plumbeo, brumoso, pesante e che si stratifica nelle zone più oscure dell'anima. Inevitabile come la notte dopo l'imbrunire.

* David Bowie 1.Outside (1995)

Il grandissimo ritorno del Duca Bianco all'arte dopo quasi tre lustri di sbandamento.
Il disco trae la propria materia dai peggiori incubi della società occidentale di fine millennio, sporcando di sangue le pareti delle stanze in cui viene riprodotto. All'epoca dell'uscita ne fui talmente affascinato da ascoltarlo ripetutamente per mesi. Nonostante l'evidente uso di trucchetti e manierismi di ogni genere, Bowie riproduce un'atmosfera che ognuno di noi ha dentro e che non si può fare a meno di riconoscere.

* Cabaret Voltaire Methodology '74/'78. Attic Tapes (2002)

Di tutti i dischi del gruppo di Sheffield, che costituiscono, almeno fino alle uscite dei primi anni '80, un unico mantra ininterrotto, preferisco questa raccolta di nastri del primo periodo, quando il loro sperimentalismo assoluto produceva materiale ipnotico e densissimo, grazie ad un cut-up forsennato e privo di alcuna sovrastruttura tecnica o culturale. Minuto dopo minuto si svolge un'apocalisse tecnologica che spiega la crisi della società occidentale, senza pronunciare una sola parola.

* Christian Death Only Theatre Of Pain (1982)

Un gruppo inglese, che si sarebbe preoccupato dal senso del ridicolo, non sarebbe mai riuscito a creare questo incredibile capolavoro, come invece riuscì alla band statunitense formatasi attorno al carismatico e tormentato Rozz Williams. Basterebbe Romeo's Distress a rendere questo disco uno dei miei ascolti preferiti di sempre. Non so esattamente perchè, ma mi ricorda la prima volta che mi chiusi in bagno per tagliarmi i capelli di nascosto, un evento fondamentale della mia primissima adolescenza.

* Cocteau Twins Garlands (1982)

A riascoltarlo oggi non mi spiego come si potesse dire che imitassero Siouxsie. La voce di Liz Fraser è purezza assoluta, brinata dalla batteria elettronica gelida e cullata dai giri di basso lineari ma estremamente profondi. La chitarra aggiunge un elemento d'ansia che dona al mosaico le necessarie incrinature. Bellissimo.

* The Cure Seventeen Seconds (1980)

Il più grande disco dei Cure. Un lavoro perfetto, nota dopo nota. Non c'è nulla che si potrebbe migliorare. La voce di Smith scava nella mente dell'ascoltatore e vi si insinua con prepotenza, pur non attingendo mai a registri sopra le righe. Ipnotico, freddo, eppure coinvolgente ed emotivamente densissimo. "Seventeen seconds, it's a measure of life".

* Eurythmics 1984 (For The Love Of Big Brother) (1984)

La mia adolescenza è fatta anche di tanti dischi pop dalle atmosfere ammalianti. 1984 è una splendida colonna sonora, mai utilizzata, pensata per il film di Michael Radford. Al di là della famosissima title track, in quest'album ritrovo brani indimenticabili come Julia, Doubleplusgood, Room 101.

* Fates Warning Perfect Simmetry (1989)

Il primo disco metal che mi abbia affascinato e convinto dall'inizio alla fine. La produzione, non troppo brillante, forse ha contribuito a questo fascino, con suoni non propriamente metal e un mix bizzarro. Grandissima la voce di Adler, che al di là della composizione - a volte ingenuamente prog - riesce a scavare un solco profondo che rende decisamente coeso l'album. In seguito i Fates Warning hanno fatto di meglio, ma questo disco resta il mio riferimento.

* Frankie Goes To Hollywood Liverpool (1986)

Benchè il poliedrico e furbetto Welcome To The Pleasure Dome sia sicuramente superiore, questo secondo e ultimo album è un meraviglioso esempio di come la personalità artistica possa prevalere su logiche di vendita. Scaricando la super-produzione di Trevor Horn, i Frankie in queste 10 canzoni si liberano delle stratificazioni sonore e dei re-re-remix del primo album e danno libero sfogo a se' stessi. Con qualche luce e qualche ombra, ma io resto affezionatissimo a quest'opera sfortunata e interessante.

* Peter Gabriel Peter Gabriel (IV) (1982)

Non amo più così tanto la carriera solista di Peter Gabriel, nella quale oggi mi pare di trovare una grandissima successione di innovazioni tecniche e di linguaggio ma non troppa musica memorabile. Però questo disco esercita ancora un discreto fascino su di me, ed è sicuramente quello più equilibrato e più moderno tra i 4 "omonimi".

* Gentle Giant Three Friends (1972)

Un gruppo di tecnicissimi professori d'orchestra che sforna una delle opere più disturbanti della storia del rock. Ascoltate l'ultimo brano senza sentirvi completamente pazzi, se ci riuscite. Un disco ineguagliato, che dà un senso a tutto il progressive anni '70 (sempre che sia possibile).

* Joy Division Unknown Pleasures (1979)

Assoluto. Non mi pare ci sia bisogno che io spieghi cosa renda quest'album imprenscindibile. Tutt'oggi lo ascolto con un senso di devozione assolutamente irrazionale. Cosa c'è di più prezioso?

* Love And Rockets Love And Rockets (1989)

Psichedelia elettrica per questo quarto lavoro del controverso gruppo composto da Daniel Ash, David J e Kevin Haskins (i Bauhaus senza Peter Murphy). Sebbene abbiano sfornato anche un sacco di roba discutibilissima, riconosco ai Love & Rockets una originalità ed una capacità di scrittura difficilmente eguagliabili. Sarebbe decisamente meglio indicare Pop dei Tones On Tail come disco da ascoltare (la formazione è quasi la stessa), ma Love And Rockets l'ho scoperto all'epoca dell'uscita. E ciò lo rende per me prioritario.

* Massive Attack Mezzanine (1998)

Protection è sicuramente più importante nella discografia del gruppo di Bristol, ma Mezzanine ha qualità a me più congeniali e mi ricorda una serie di viaggi in auto in un periodo interessante della mia vita. Risingson, Inertia Creeps, Mezzanine, definiscono territori cupi e avvolgenti nei quali mi perdo molto volentieri. Il sample di 10:15 Saturday Night in Man Next Door è la ciliegina su un album del quale non mi sono ancora mai stancato.

* Ozric Tentacles Arborescence (1994)

Scelgo Alborescence dalla sterminata discografia di questi figli dei fiori psichedelici ed elettronici, probabilmente sottovalutati dalla critica proprio per la loro apparente ripetitività, solo perchè è il primo album che ho acquistato e ascoltato ossessivamente. Diede inizio ad un anno di "Ozric immersion", nel quale ne imponevo l'ascolto a chiunque mi circondasse. Chiedo scusa, a posteriori, ma il disco è ancora nella mia top 50.

* Pink Floyd Animals (1977)

Il primo album dei Pink Floyd da me ascoltato. Ricordo alla perfezione la panchina sulla quale ero seduto, il colore del walkman, il proprietario della cassetta. Eppure era, ahem, qualche annetto fa. Una scoperta fulminante, avvenuta tramite il più oscuro e meno conosciuto dei dischi del gruppo di Roger Waters. Animals ha una viscosità paludosa che manca agli altri lavori dei Floyd, e tuttora mantiene per me un fascino del tutto particolare.

* Portishead Dummy (1994)

Gli anni '90 dovevano pur servire a qualcosa. Oltre ad una buona manciata di album grunge, della decade ci resta soprattutto la primissima ondata di dischi trip-hop (nella seconda ci furono solo inutili rifacimenti e scivolate in territori troppo pop). Dummy è un disco indefinibile che ho ascoltato tantissimo.

* The Sound Jeopardy (1980)

"We will wait / for the night / we will wait". Un verso banalissimo ma scolpito nel cervello dalla linea di basso che lo sostiene. Un astro luminosissimo ma quasi dimenticato, inciso da un gruppo poco fortunato al quale gli U2 devono più che un suono di chitarra e qualche spunto.
Hour Of Need basterebbe a giustificarne l'acquisto.

* Stone Temple Pilots Purple (1994)

Non so se il disco si sia sempre chiamato così o se sia stata una decisione postuma. Io lo chiamavo "12 Gracious Melodies" come recita la scritta sul retro della copertina. Quando Scott Weiland cantava le sue filastrocche da tossico e pestava su tasti dolorosi ma orecchiabili. Un disco che ha venduto tantissimo ma che stranamente non li ha trasformati in superstar. Mi ricorda troppe cose per dirne una sola.

* Talk Talk Spirit Of Eden (1988)

Un grande gruppo pop che si trasforma in un grande gruppo. Fusione inedita tra mille linguaggi musicali diversi, un disco che realizza quello che tanti promettono e basta. Musica libera che può trasportarti ovunque. Pigia play, chiudi gli occhi, e vedrai.

* This Mortal Coil It’ll End In Tears (1984)

La miracolosa raccolta di brani realizzati da esponenti di gruppi della 4AD di Ivo Watts Russell. Uno scrigno delle delizie che trova i suoi punti più alti in due meravigliose cover: Song To The Siren di Tim Buckley e Not Me di Colin Newman.

* Underworld Second Toughest in The Infants (1996)

Un disco che mi ha ipnotizzato per mesi e mesi. La rivelazione di come qualcosa di ballabile e accessibile potesse anche essere ammaliante e intellettualmente elettrizzante. Un album che ho ascoltato fino alla nausea e che posso mettere su anche in questo istante senza annoiarmene. Al di là della sua apparenza, un grandissimo disco pop concettuale.

* Van Der Graaf Generator The Least We Can Do Is Wave To Each Other (1970)

Casa di mio cugino, anno 1988 o giù di lì, questo disco nel piatto per ore ed ore.
Peter Hammill era il mito di Johnny Rotten, lo sapevate?

* Virgin Prunes If I Die, I Die (1982)

A metà degli anni '80 avevo una cassetta di quelle brutte, registrata male, copiata da una cassetta copiata. Su un lato c'era una raccolta degli Alien Sex Fiend, sull'altro questo grandissimo capolavoro, un assurdo incrocio tra musica da baraccone (fornita da Gavin Friday, Guggy e compagnia) e produzione raffinata (affidata al genio di Colin Newman). Tra la cantilena di Sweet Home Under White Clouds, il cabaret di Decline And Fall, il pop sghembo di Baby Turns Blue, il post punk di Walls Of Jericho, c'è un campionario teatrale indimenticabile.

* Velvet Underground The Velvet Underground & Nico (1967)

Banale, vero? E' in questa lista perchè mi sono rifiutato caparbiamente di ascoltarlo per anni e anni. Ho capitolato a terzo millennio già iniziato, scoprendo, naturalmente, quanto avessi sbagliato. Mi fa inevitabilmente tornare alla mente una certa stanza di una certa casa in un certo quartiere di una certa città.

* Voivod Nothingface (1989)

Qualsiasi disco dei Voivod potrebbe rientrare in questa lista. Il più grande gruppo metal di sempre (in questa sede posso permettermi questa iperbole altrimenti discutibile). Nothingface rappresenta il passaggio tra il periodo più trash e quello più prog, ma è attraversato come tutta la loro produzione da sonorità acide e incubi psico-fantascientifici. Nulla supera la chitarra di Piggy quando si ha bisogno di qualcosa che scavi tra i neuroni e li faccia saltare in aria. Sono certo che nel Paradiso del metal ora siede nel posto che gli spetta.

* Wire 154 (1979)

La fine del punk, l'inizio della new wave.
Non è vero al 100%, naturalmente, ma è quello che mi viene da pensare quando ascolto questo disco.
I Wire al meglio del loro primo periodo.

1 commento:

Sig. Scruff ha detto...

Però, la tua premessa all'inizio è un'ottimo modo di evitare il solito trito "i dischi della mia vita", o "i dischi da isola deserta"...
La mia lista di dischi privati c'è, e ci sono pure degli elementi discutibilissimi, ma come hai detto tu, sono cose che ti entrano dentro, una fotografia di uno stato personale passato...Antichrist Superstar di Marilyn Manson erano i miei 17 anni, The Number of The Beast degli Iron i miei 15, ma sono tutte cose che rimangono dentro al di là del cambio di gusti. I Pantera con Vulgar Display of Power, un disco solo (infinity land) dei Biffy Clyro, che mi ha colpito duro quand'è uscito e ascolto ancora estremamente volentieri. Young Team dei Mogwai e la scoperta di un mondo di quiete e tempesta che da metallaro non conoscevo, Spiderland degli Slint è forse il motivo per cui ascolto musica.I Converge di You Fail Me, i Neurosis di A Sun that Never Sets, gli Isis di Oceanic, i Botch di We Are the Romans (questi dischi raggruppati valgono come uno, quando mi piglia il momento "post-hardcore" li devo ascoltare in blocco)..E poi condivido con te i Portishead, aggiungerei il live In Tune and On Time di Dj Shadow, che da solo è bastato per farmi appassionare all'elettronica (che prima, da bravo metallaro, schifavo), e concluderei con Permutations di Amon Tobin e Go Plastic di Squarepusher. E poi chissà in futuro, a quali dischi guarderò con affetto...