6 maggio 2012

OSI 4

Jim Matheos e Kevin Moore hanno preso gusto a questo progettino nato come riempitivo tra un impegno e l'altro nei primi anni 00, e giunto inaspettatamente al quarto capitolo.

Il primo album omonimo Office Of Strategic Influence metteva insieme influenze molto prog-metal (le band d'origine dei due sono Fates Warning e Dream Theater) con le atmosfere elettroniche sperimentate da Moore negli album pubblicati a nome Chroma Key, con una certa propensione però al colpo d'effetto, garantito dalla partecipazione di Mike Portnoy e dalla scelta di brani dalle strutture articolate ma anche dal sapore molto "session".

I due dischi successivi (Free e Blood) erano diventati qualcosa di molto più personale: canzoni di durata più contenuta, nessuno spazio per gli strumentali, equilibrio perfetto tra il riffing granitico di Matheos e i sequencer emozionali di Moore, con la voce di quest'ultimo sfruttata nell'unico modo possibile, con una sorta di parlato intonato più che un cantato vero e proprio, molto funzionale al mood dei brani.

Con il nuovo Fire Make Thunder i due devono però aver pensato che riproporre la formula con altre dieci composizioni poteva risultare stancante. O forse gli è capitato per caso, fatto sta che questo quarto album sembra un po' ripiegare sulle scelte stilistiche del primo capitolo. Alla batteria c'è l'ottimo Gavin Harrison dei Porcupine Tree, già presente nel disco precedente, ma qui sembra prendere parte alla composizione dei brani in modo più attivo, anche se con solo riferimento alle proprie parti. Le tracce sono solo otto, la prima e l'ultima di durata sopra la media (7 e quasi 10 minuti), con qualche puntata qua e là nei virtuosismi abbandonati dopo il primo album e una lunga escursione strumentale.

Per i miei gusti, il formato canzone è quello più adatto al duo, capace di creare delle schegge emozionali molto originali attorno ai testi di Moore, spesso frutto di un flusso di coscienza controllato. Questo album non regala questo tipo di emozioni, se non a tratti, ma piacerà di più ai fan del prog, e temo sia questo l'obiettivo neanche troppo nascosto dell'inversione a U compiuta. Comunque, se questo fosse un album commerciale, viva gli album commerciali: solido, godibile, a tratti quasi fresco, e se non fosse per una caduta di ritmo e qualità con una ballatella moscia fuori posto, sarebbe anche un discreto capolavoro del suo genere.

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