10 marzo 2013

Wire: Change Becomes Us

Potrebbe sembrare un'operazione un po' triste e il segno di una raggiunta stanchezza compositiva: il recupero di brani inediti risalenti al proprio primissimo periodo (che per gli Wire significa fine anni '70), mai incisi in studio ma ripescati da vecchi nastri e riproposti oggi in nuove registrazioni.

Questo è quanto propone il nuovo album dei Wire, e temevo in effetti di trovarmi ad ascoltare una fotocopia sbiadita dell'originale, come spesso accade quando una band di vecchie glorie si cimenta col vecchio repertorio.

E invece. Invece il terzetto di superstiti della formazione che aveva dato vita ormai dieci anni fa all'acclamato album del ritorno Send (il cantante Colin Newman, il bassista Graham Lewis e il batterista Robert Grey), affiancati dal chitarrista Matthew Simms (che sostituisce il dimissionario Bruce Gilbert) si riappropria di quei bozzetti e li rielabora in maniera vitale e niente affatto auto-celebrativa, dando vita ad un disco che riflette, certamente, la storia del gruppo, ma si inserisce anche perfettamente nella sequenza di uscite recenti, diventando forse anche una pietra angolare per la prossima produzione.

Il confronto con alcune versioni di queste stesse canzoni, rintracciabili nel live Document And Eyewitness dell'81 (attenzione: i titoli dei brani non corrispondono a quelli usati adesso...) renderà chiaro quanto quelle composizioni siano state utilizzate solo come base di partenza per un'altra cosa, ossia un album vivo e vegeto che non puzza di muffa nemmeno un po'.
Non è forse il più bel disco della band, ma questo è un altro discorso. Per la prima volta è la durata, che rasenta l'ora per 14 tracce, a penalizzare un po' l'opera: l'esclusione di qualche brano a favore della sintesi avrebbe forse aiutato il risultato finale a passare da buono ad eccellente.

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