30 marzo 2008

Death Angel: trash, trash! (and more)

Stare qui a spiegare chi sono i Death Angel e cosa rappresentino nella scena trash degli anni '80 sarebbe una cosa troppo lunga.
Basterà dire che The Ultra Violence (1987) e Frolic Through The Park (1988) sono due pietre miliari del metal, due dischi geniali e violentissimi partoriti dalle menti di cinque losangelini di origine filippina - tutti imparentati tra loro e, all'epoca dell'uscita del primo album, di età variabile tra i 14 (!) e i 19 anni.

Si trattava di un trash di seconda generazione, forse più colto e sicuramente più influenzato, rispetto ai "padri fondatori" Metallica e Megadeth, da quanto si stava muovendo nel metal di fine decennio.
Portare avanti il loro discorso negli anni '90 sarebbe stata cosa difficile, e infatti dopo il terzo album (Act III, ultima prova del 1990) i nostri si sono riaffacciati sul mercato musicale solo nel 2004, con un lavoro (The Art Of Dying) piuttosto fuori fuoco e non del tutto all'altezza del passato della band.

Ma con questo nuovo Killing Season pare che un inatteso equilibrio sia tornato a sorridere ai cuginetti, i quali sfornano un'opera decisamente degna della loro prima discografia.
Non rifanno se stessi, i Death Angel, ma a vent'anni dall'esordio indovinano una formula vincente basata su velocità, potenza e un ottimo intuito melodico, dimostrando che il fuoco non è ancora spento sotto la cenere.

Il disco si apre con una intro acustica brevissima, che si trasforma ben presto in un brano trash tiratissimo e guerrafondaio come Lord Of Hate. Si sente subito che la voce di Mark Osegueda è decisa a dare il meglio di se', e che la chitarra di Rob Cavestany non perde un colpo, due caratteristiche che restano in evidenza per tutto l'album. Sonic Beatdown mantiene un ritmo indiavolato e si trascina in territori quasi hardcore, ma la successiva Dethroned riduce la velocità e ci riporta nella Bay Area con elementi inconfondibili: riffing granitico, cori, un lungo solo melodico. Carnival Justice si apre in modo molto tirato e di nuovo con elementi hardcore, salvo aprire brevi squarci quasi progressive. L'intro di Buried Alive porta alla mente i primi Metallica, ma mostra che c'è anche altro nelle corde dei losangelini, dando spazio nel ritornello ad un coro quasi grunge e virando allo speed metal nel finale. Soulness fa pensare ai migliori Megadeth e spara fuori uno tra i migliori riff dell'album, prima di sfociare in un ottimo solo che traina verso una chiusura furiosa. The Noose (il cui ritornello dà il nome all'album) è hard rock magistrale, appena tinto di grunge (vedi appunto il ritornello). Per l'intro di When Worlds Collide torna brevemente l'acustica (utilizzata molto poco nell'album), prima di partire per una cavalcata sostenuta sulla quale si innesta, inaspettatamente, il brano più orecchiabile e "grungettaro" dell'album. God vs God sfodera il suono più moderno dell'album (vengono alla mente addirittura i Korn) ma soprattutto un solo indimenticabile. Steal The Crown aumenta di nuovo il ritmo con un hard'n'blues in chiave trash, per poi lasciare spazio alla conclusiva e splendida Resurrectin Machine, che può fregiarsi del riff più apertamente "Bay Area" dell'album, ma anche di sezioni semi-acustiche di grande atmosfera. E' l'unico brano a toccare i quasi 7 minuti di durata, in un album che, per il resto, annovera canzoni di durata contenuta (tra le altre, la sola Soulness tocca i 5 minuti).

La produzione molto moderna affidata a Nick Raskulinecz non nuoce affatto alla resa delle tracce, riuscendo nell'impresa di riproporre un genere classico, eseguito da una grande band, senza troppi deja-vu ma anche senza una snaturazione eccessiva.
Killing Season inoltre si avvantaggia molto bene della sapiente rimescolanza di influenze e dell'ottima forma di tutti i musicisti.
Un disco che non potrà mancare nella collezione dei metallari più attenti, ma neppure in quella di chi, semplicemente, ama l'ottima musica suonata con una passione evidente.

Nessun commento: