16 ottobre 2008

I segreti di Moltheni

Di Moltheni si sa poco o nulla, ed è giusto che sia così.

Quel poco che si sa contribuisce ad aumentare il mistero, ma tanta riservatezza - o consapevolezza che a mostrarsi si fa solo inutile sfoggio di vanità - aiuta in qualche modo a comprenderne le scelte musicali.

Sappiamo ad esempio che nella "vita reale" Moltheni si chiama Umberto Giardini e fa il pompiere, e che solo di tanto in tanto si chiude un po' in studio e registra un nuovo album.

Una scelta, quella della "doppia vita", che il cantautore marchigiano difende con una banale motivazione economica (vivere di sola musica è quasi impossibile) ma che svela anche forse la necessità di restare uomo "normale", di non sentirsi parte di un meccanismo dello spettacolo nel quale la propria identità potrebbe dissolversi. E senza essere costretto a compromessi che per un professionista della musica diventerebbero pressanti.

Una scelta che consente inoltre di poter giocare con il proprio alter ego musicale, sperimentando anche delle mutazioni di identità: pare che Moltheni dopo questo album abbia intenzione di cambiare pseudonimo, per dedicarsi ad altro o anche solo per verificare se il pubblico lo seguirà per ciò che farà e non perchè il suo nome inizia ad essere famoso.

Nel frattempo abbiamo quest'ultimo I segreti del corallo, sesto album a nome Moltheni, registrato stavolta rigorosamente in analogico e pubblicato, come i tre precedenti, dalla piccola etichetta La Tempesta/Venus, di proprietà dei Tre Allegri Ragazzi Morti, che gli consente un'ampia libertà artistica e il rispetto dei propri tempi naturali per la proposta del nuovo materiale.

L'album prosegue il discorso stilistico iniziato nel 2005 con Splendore Terrore, e già perseguito in Toilette Memoria e nel'Ep Io Non Sono Come Te: una formula che unisce testi introspettivi e poetici, mai banali, con un tessuto sonoro di matrice chiaramente folk, spesso ombroso, a tratti intimista ma solcato anche da ondate di nervosismo elettrico.

L'album dimostra una maturità artistica pienamente raggiunta, e un rigore espressivo considerevole: un pugno di canzoni senza nessuna sbavatura, nessuna concessione alla "piacevolezza", e che pure riescono ad irretire l'ascoltatore ed a condurlo in un mondo sommerso, fatto di immagini in dissolvenza e luminose penombre. Pochi strumenti, nessun virtuosismo, uno stile rigoroso e pulito che non capita spesso di poter apprezzare.

Da notare che Moltheni riprende due brani proprio da Splendore Terrore, e li posiziona esattamente come in quell'album: al quinto e all'undicesimo posto in scaletta. Una mossa che può permettersi solo chi non ha più idee, o chi ce le ha molto chiare. E non mi pare proprio che le idee qui scarseggino.

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