26 ottobre 2008

La strada del pop, la strada del porno

Fare pop in modo intelligente non è una cosa facile, e per convincersene basta buttare un occhio - e un orecchio - alla smisurata produzione anglosassone, che ormai da almeno un decennio accumula insensatamente successi effimeri tutti uguali e tutti tristemente insipidi, che lasciano labilissima se non nulla traccia nella memoria.

C'è invece una tradizione che vede nel pop l'ambiente in cui alto e basso si mescolano, producendo un effetto accattivante ma al tempo stesso dotato di fascino, con un pizzico di mistero che consente di vivere una canzone come pretesto per sognare, per immaginare mondi possibili.

Inutile dire che gli anni '80 furono la culla di questa attitudine: potrei citare mille nomi, ma un esempio su tutti potrebbero essere gli Eurythmics dei primi album, che offrivano ritmi ballabili, melodie intriganti, atmosfere evocatice, una grande voce e un alone di totale mistero che avvolgeva l'androgina Annie Lennox col proprio carico di sensualità aliena.

Tutto ciò, per dire che i due di Lecce che hanno deciso di mettere su la ragione sociale Il Genio devono essersi detti: ok, facciamo un disco pop, ma cerchiamo di farlo intelligente.
Ora, a prescindere dal fatto che forse hanno detto in tutto un altro modo, e che l'uso della parola "intelligente" potrebbe essere ribaltato e ritorto contro il senso di ciò che sto scrivendo, il succo della faccenda è che questo disco italiano, piccolo piccolo nelle intenzioni (tanto da essersi meritato l'orrida etichetta di "indie pop", come se il pop potesse per vocazione aspirare a localini bui con quattro gatti ai tavoli), si è rivelato invece di grandi aspirazioni ed altrettanto grandi possibilità.

La miscela è perfetta: una ragazza dalla voce sottile sottile e intenzionalmente (caricaturalmente, stavo per dire) tenuta in un falsetto eccessivo, da cartone animato, che dà un qualcosa di erotico (e un po' ochesco, che è perfettamente erotico) a qualsiasi cosa canti; un impianto musicale fatto di elettronica in apparenza minimale ma in realtà ottimamente arrangiata, che si pone in una tradizione che va dagli italiani Chrisma ai già citati Eurythmics; un sistema di rimandi culturali al cinema francese, con l'immediata associazione a Serge Gainsbourg e Jane Birkin; il fascino della reiterazione, che sapientemente fa sì che le canzoni dell'album siano splendidamente "tutte uguali", creando una riconoscibilità che è essenziale nel pop (un certo Andy Warhol aveva già dimostrato chiaramente il concetto).

Certo, qualcuno potrebbe bollare l'album come effimero: ma sta proprio qui il gioco, riconoscere le colate di autoironia, saper vedere in tutta chiarezza come questo sia un "prodotto", ed ammirare proprio questa costruzione, questa premeditazione.

Questi sono dischi che li lanci lì e aspetti che lentamente si mettano a rotolare, per arrivare chissà dove. Prima dell'estate li conoscevano in pochissimi, giusto quelli che fanno attenzione alle piccole produzioni italiane. Poi si è affacciato su MTV il video di Pop Porno: una canzoncina ambigua e maliziosa, dal testo stuzzicante e fintamente ingenuo, coadiuvata da un filmato forse non brillante ma con le citazioni giuste per farsi notare (Pulp Fiction). L'effetto è istantaneo: in rete ci si comincia a chiedere chi siano questi due, spuntano detrattori ed ammiratori, si commenta il video, c'è chi vede la citazione a Tarantino e chi la nega, proponendo altre fonti di ispirazione. Il disco nel frattempo percorre la sua piccola strada, vende qualche copia in più, cresce silenzioso negli scaffali.

Ma la strada del pop porta sempre da qualche parte: il pezzo finisce a Quelli che il calcio, trasmissione ormai sempre più thrash: la Ventura nazionale lo canticchia, gli ospiti lo storpiano riuscendo a sbagliare la metrica del ritornello, la parola "porno" a ora di pranzo della domenica fa il resto: tutti hanno sentito la canzone, qualcuno la mormora tra i denti andando al lavoro, qualcuno ne è un po' infastidito, qualcuno ne resta affascinato.

Perchè la strada del pop passa dappertuto, anche per luoghi che un artista magari non pianificherebbe: il pop si scioglie nella società che lo circonda, assume una sua vita nelle sinapsi della gente, realizza, insomma, la propia vocazione. E lo fa quasi da solo, giusto con qualche necessaria spintarella, soltanto se è genuinamente pop.

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