23 novembre 2008

Simon Reynolds: Rip It Up and Bring The Noise!

Simon Reynolds è un critico musicale inglese che la ISBN - editore dei suoi lavori in Italia - definisce "il più grande critico musicale vivente".

La definizione è probabilmente eccessiva, ma non lontanissima dalla realtà. Reynolds affianca ad una cultura musicale - ed extra-musicale - praticamente enciclopedica, la capacità di adottare una prosa piana e a tratti professorale per argomenti che lo appassionano profondamente, senza che vadano perse ne' la percezione di questa passione ne' la chiarezza ed il rigore che si sforza in modo evidente di adottare.

In questo è diversissimo sia da Lester Bangs, il caotico ma trascinante ed appassionatissimo critico statunitense, scomparso ormai da più di un quarto di secolo, che molti ritengono tout court il più grande critico musicale di sempre, che dal compatriota Paul Morley, che è altrettanto enciclopedico ma eccede in uno stile spesso oscuro ed eccessivamente intellettualizzato (si veda il suo pur affascinante volume Metapop).

ISBN aveva già pubblicato un paio d'anni fa, con il titolo Post-punk 1978-1984, la traduzione del manualone Rip It Up And Start Again, una carrellata estremamente accurata e ricchissima di informazioni sulla musica che scaturì, dalle due parti dell'Atlantico, dopo il ciclone del punk, sull'onda del "Do It Yourself" (favorito dalle nuove tecnologie di registrazione casalinga), vedendo la nascita di dozzine di nuovi generi, frettolosamente ammucchiati nelle etichette di New Wave o Post Punk, ma tra loro diversissimi. Un libro fondamentale, preziosissimo anche per chi, come me, riteneva di saperne già tanto su un periodo così fervido e fecondo.

Esce ora, con l'orribile titolo Hip-hop-rock 1985-2008 (ma lasciare i titoli originali è così difficile?) un nuovo grosso tomo, pubblicato in Inghilterra come Bring The Noise, che raccoglie una selezione degli articoli scritti da Reynolds negli ultimi vent'anni.
Da un punto di vista editoriale il volume viene presentato come seguito del precedente, ma naturalmente si tratta di qualcosa di completamente diverso, non essendoci qui l'impianto storico che caratterizzava le pagine di Post Rock 1978-1985. Ciò non toglie valore all'opera, ne' sminuisce il piacere nella lettura degli scritti del critico londinese, anzi, sposta l'attenzione sulla sua prosa giornalistica viva e attenta, che mette sotto il microscopio la musica degli ultimi vent'anni e i flussi che l'hanno caratterizzata.

Ciò che colpisce maggiormente in Reynolds è il suo sforzo, anche negli articoli scritti in occasione dell'uscita di nuovi album, di porsi in un'ottica storica, e di comprendere dove si annidino i germi delle novità, delle nuove esplosioni creative. Lo stesso autore ad esempio fa notare nella prefazione come gli ultimi decenni siano stati caratterizzati dall'inseguimento dei musicisti bianchi nei confronti della musica nera, e di come la sovrapposizione che si è creata tra i due mondi abbia generato risultati imprevedibili, laddove il "fraintendimento" dei bianchi verso la musica dei neri ha generato nuove idee. Questa idea è presente sotto traccia ina tutti gli articoli, e fa da collante tra di essi dando una certa coesione all'opera, che cita una miriade di artisti tra cui, tanto per fare qualche nome, Hüsker Dü, Smiths, Public Enemy, LL Cool J, Dinosaur Jr, Pixies, Living Colour, Manic Street Preachers, Nirvana, PJ Harvey, Beastie Boys, Blur, Roni Size e tantissimi altri.

Forza, dunque: accendete un piccolo mutuo (Hip-hop-rock costa 29 euro, Post-punk 35) e procuratevi entrambi i volumi. Vi farà bene e vi terrà occupati per molte sere (si tratta rispettivamente di 470 e 710 pagine circa), ore che potrete trascorrere comodamente seduti in casa con della buona musica in sottofondo, invece di andare in giro per locali a sperperare denaro (e così riuscirete anche a coprire il mutuo).

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