19 dicembre 2010

Farewell

Don Van Vliet
15 gennaio 1941 – 17 Dicembre 2010

(fotogramma tratto da Some YoYo Stuff di Anton Corbijn, 1993
http://www.ubu.com/film/corbijn.html)

8 dicembre 2010

Strategies Against Architecture IV

Il primo Strategies Against Architecture fu dato alle stampe dagli Einstürzende Neubauten nel 1984, come raccolta di B-sides e live tracks rimaste a margine della discografia del primo periodo della band.

I due capitoli successivi, del 1991 e del 2001, hanno trasformato la serie in una restrospettiva antologica che copre di volta in volta i periodi intercorsi tra una raccolta e l'altra, affiancando live e B-sides ai brani più significativi tratti dagli album di studio. Non proprio un "best of", ma piuttosto una carrellata che può fungere anche da introduzione al lavoro più regolare della band.

Questo quarto elemento delle "strategie contro l'architettura" (un nome che si riallaccia a quello della band, che in italiano suonerebbe come "nuovi edifici che collassano") si inserisce in questo solco, proponendo brani che seguono il percorso del gruppo berlinese nel periodo 2002-2010, tra versioni di studio, mix alternativi, versioni pubblicate solo sui singoli e così via.

La doppia raccolta esce per la Mute Records, nonostante la band abbia sciolto il contratto con l'etichetta dopo l'uscita di Silence is Sexy: forse un obbligo contrattuale li obbliga a questa scelta, o forse la strada dell'indipendenza è difficile da seguire per questo tipo di uscita, come se le compilation fossero un oggetto più facile da gestire per una label più strutturata come può essere la Mute.

I due CD coprono un periodo che è stato molto travagliato per il gruppo, alla ricerca nell'ultimo decennio della propria nuova identità, fatta di riflessività e sperimentazioni sonore sempre più lontane dal chiassoso rumorismo industriale che l'ha resa famosa negli anni '80. Ne esce un affresco complesso, anche un po' schizofrenico, non sempre a fuoco ma ciò nonostante interessantissimo. Blixa Bargeld e soci hanno tentato strade nuove, a volte coraggiose, che li hanno un po' allontanati dal loro pubblico e che faticano ormai ad essere imbrigliate sotto una etichetta di genere.

Per gli amanti della band si tratta come al solito di una occasione per mettere le mani su tracce altrimenti difficili da reperire; per tutti gli altri può essere un'esperienza rivelatoria, sebbene l'ascolto risulti a tratti difficoltoso, anche per la mancanza di coesione di cui soffre un po' la materia proposta.

In ogni caso, va apprezzato il coraggio del collettivo ma anche la sontuosa edizione, caratteristica alla quale la Mute ci ha un po' abituato ma che non si può fare a meno di ritrovare sempre con piacere.

5 dicembre 2010

The Influence of the AoN

"The Art of Noise is paranoid" (dal testo di Something Always Happens).

La storia della mia passione smodata per gli AoN inizia da qualche parte tra il 1985 e il 1986, a casa di un amico che aveva appena scoperto il maxi single di Moments in Love, e subito a seguire l'album Who's Afraid (of the Art of Noise)?

Ripercorrere in poche righe la storia di questo progetto ambizioso e a tratti incredibile è difficile, perchè al di là dei dati biografici è necessario ricostruire il "prima" e il "dopo" AoN, una differenza che per i più giovani può essere arduo afferrare.

Negli anni '70 la musica elettronica era dominata dall'influenza di Kraftwerk e Tangerine Dream. Era il dominio assoluto dei sintetizzatori, dei beat minimali e dei primi sequencer, una mescolanza di fantascienza e atmosfere cosmiche, qualcosa che aveva a che fare con i viaggi nello spazio ed una visione del futuro tra utopia e distopia: Asimov ma anche l'incubo atomico tradotti su vinile.
Nei primi '80 il pop assimilò queste tendenze fondendole con la tradizione punk, dando vita al "synth pop": semplici melodie di sintetizzatore sovrapposte a fragili schemi basso/batteria/chitarra. Una formula dotata di grande fascino ma velocemente abusata, tanto che tra il 1980 e il 1983 si era già trascinata sul declivio di un declino imminente.

Ma nei primi anni '80 una dirompente innovazione tecnica si stava affacciando nel mondo della musica: il campionamento. Era una tecnologia costosissima e ancora dai grandi limiti. Pochi poterono iniziare a sperimentarla, ed erano in genere personaggi già dentro l'establishment musicale e con una certa disponibilità di mezzi. Uno tra questi fu ad esempio Peter Gabriel, che iniziò ad utilizzare i campionatori dal terzo album omonimo. Ma si trattava di musica ancora elitaria, molto concettuale, mescolata con influenze world e ancora dallo scarso potenziale pop (fino alla svolta di So, ma quella è già un'altra storia).

Trevor Horn (già produttore e musicista, vedi Buggles e Yes) decise invece di fondare qualcosa di totalmente nuovo. Raggruppati i musicisti Anne Dudley, JJ Jeczalik, Gary Langan e il giornalista musicale Paul Morley, diede vita ad un progetto che mescolava in modo inedito musica classica, influenze futuriste e un utilizzo aggressivo del Fairlight, all'epoca l'unico strumento in grado di gestire il campionamento in modo duttile e potente. Il nome "Art of Noise" fu mutuato dall'opera l'Arte dei rumori di Russolo, mentre l'immagine del gruppo, basata su maschere, sculture e citazioni dal sapore di inizio Novecento, erano opera di Morley, il cui apporto fu fondamentale ma limitato a questo aspetto.

Dopo il primo album le tensioni interne iniziavano già a sgretolare la coesione del gruppo: da un lato Horn e Morley puntavano molto sulla concettualità e sulla non-immagine, dall'altro Dudley, Langan e Jeczalik desideravano uscire allo scoperto come una vera band e ottenere anche riconoscimenti commerciali. La ebbe vinta il secondo gruppo, che mollò la ZTT di Horn e approdò alla China Records, con la quale pubblicò altri tre album prima di sciogliersi nel 1990. Seguì un profluvio di raccolte e collezioni di remix, fino a quando, negli ultimi anni del secolo ci fu una fugace riunione della band (escluso Jeczalik) con un album ispirato all'opera di Debussy.

L'importanza degli AoN potrebbe essere misurata sul numero di campionamenti che hanno a loro volta subìto. Il più noto è quello utilizzato dai Prodigy nel singolo Firestarter. Ma la loro influenza sulla musica degli anni '80 e '90 è ben più vasta e diffusa. L'intera scena "big beat" potrebbe essere considerata una rielaborazione di pezzi come Close (to the Edit), mentre l'approccio alla cover come momento di riappropriazione di una melodia in un contesto totalmente differente (Peter Gunn, Kiss) è una eredità ancora evidente nella produzione musicale degli anni '00.
La raccolta Influence appena sbarcata nei negozi non potrebbe dunque avere nome più appropriato.

L'edizione consta di 2 CD. Il primo è una sorta di vero e proprio best of, sebbene si discosti da quello già esistente per due ragioni: la scelta delle versioni che privilegia quelle finora inedite su CD (vedi i casi di Close (to the Edit), Legs, Paranoimia), e l'inserimento di 3 brani dall'ottimo album del 1999, che sebbene evidenzino la grossa frattura con lo stile del passato, dimostrano anche l'enorme potenzialità della nuova incarnazione della band. Il secondo disco consiste di unreleased experiments; contiene solo versioni totalmente inedite e qualche chicca sorprendente (un esempio su tutti: l'intera sequenza delle voci registrate da Camilla dalle quali furono estrapolate risate, "ehi" "yes" e cosa vià). Una vera e propria miniera per gli appassionati di questa band fondamentale per la storia del pop occidentale.

L'Arte è servita.

"The Art of Noise is paranoid. The Art of Noise is weird."