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9 dicembre 2012

Mark Stewart back from the 80's

Ogni tanto la Mute si decide a stampare un po' di copie di qualcuno tra i titoli classici di cui è in possesso, e le mette in circolazione senza troppa pubblicità. Non si tratta propriamente di ristampe, visto che l'edizione è identica e formalmente non c'è neppure alcuna variazione nei codici che possa permettere di distinguere la nuova tiratura dalla precedente. È però evidente il fenomeno, vista l'improvvisa disponibilità di titoli dopo anni di sostanziale irrintracciabilità.

Quest'anno è stato il turno di diversi album dei Cabaret Voltaire, della discografia di Boyd Rice come NON, e adesso di due vecchi album di Mark Stewart.

Il primo è l'omonimo del 1987, capitolo terzo della carriera solista di Stewart, ed è una vera e propria gemma del dub industriale, un disco che fa del plagiarismo la propria missione e che aprirà la strada agli anni '90 influenzando massicciamente le tendenze elettroniche del decennio a venire. Molto materiale è rubato e rimasticato in una modalità all'epoca del tutto rivoluzionaria. Basti citare Stranger, una traccia basata su un frammento delle Gymnopédies di Eric Satie e che sostanzialmente inventa il trip-hop (ascoltare per credere).

Il secondo è Metatron del 1990, un album meno riuscito, esempio di quanto spesso i maestri, dopo aver spianato la strada, non riescano a volte a sfruttare in modo originale le proprie stesse intuizioni. Il dub presentato nelle otto tracce del disco è efficace e a tratti trascinante ma non aggiunge molto di nuovo a quanto già realizzato, e suona stavolta un passo indietro rispetto a quanto accadeva nell'anno in corso. Non per questo meno meritevole di essere acquisito nella discografia dell'ex leader del Pop Group.


8 luglio 2012

Mark and the Envy

Alfiere in ambito musicale di una politicizzazione dura e pura sin dai tempi del Pop Group (chi altri può vantare un titolo come "For How Much Longer Do We Tolerate Mass Murder?"), Mark Stewart ci ha abituati anche nella carriera solista ad uno stile intransigente anche dal punto di vista sonoro, con album ricchi di sperimentazioni ai confini con l'industrial, e spesso deliberatamente ostici.

Questo album rappresenta dunque una svolta inaspettata in una direzione molto più accessibile, anche se non si assiste all'abbandono della personalità caratteristica di Stewart, il quale si guarda bene dal gettare a mare i propri stilemi: li ammorbidisce, semmai, aggiungendo elementi di maggiore fruibilità o evitando di scivolare nel rumorismo puro come aveva spesso fatto in passato.

The Politics Of Envy è ricco di collaborazioni più che illustri: Lee "Scratch" Parry, Daddy G, Bobby Gillespie, ma non sempre queste si traducono in un vero valore aggiunto (la performance di Daddy G è alquanto inudibile, ad esempio). Non è però questo il vero problema del disco, che oscilla tra alcuni momenti buoni (soprattutto in apertura e chiusura) e altri piuttosto opachi. Mi viene da pensare che nel tentativo di raggiungere un risultato più pop, il buon Mark si sia trovato su un terreno non suo, smarrendo qua e là la direzione.

In ogni caso, un disco non da buttare, anche grazie all'attivismo mai domo che traspare dai testi, i quali alzano di una spanna anche il giudizio più intransigente sulla qualità musicale di alcuni brani.

Nota a margine per il secondo CD allegato all'edizione "speciale": si tratta di cinque remix di brani dell'album, per lo più interessanti.