29 aprile 2012

Koloss: è tempo di Meshuggah

Se voi foste i Meshuggah, vi sareste certamente trovati in difficoltà al pensiero di dover dare seguito ad ObZen.

Se voi foste i Meshuggah, sareste sottoposti ad un livello di pressione intollerabile: inventori di un sound caratteristico e di uno stile inconfondibile, osannati come innovatori e idolatrati da una generazione di metallari devoti, vi sareste visti ormai imitare in tante salse da avere voi stessi qualche dubbio sulla vostra originalità, o sulla possibilità di superarvi in qualche modo e di mantenere il vostro status di semi-divinità nel pantheon del metallo.

Se voi foste i Meshuggah, soprattutto, pensereste con un po' di rancore alla pletora di gruppi che hanno mietuto successi insperati attingendo alle vostre invenzioni, e in qualche caso magari riuscendo a spacciarsi per la cosa "vera", grazie alla coscienza storica nulla dei metalhead in erba (i quali in genere crescendo si accorgono dei propri errori... ma spesso fuori tempo per poter supportare le band giuste).

Insomma, se voi foste i Meshuggah, fareste probabilmente un bel passo falso. Non per mancanza di fiducia, eh. E poi non siete i Meshuggah e questo giochino retorico fa acqua da tutte le parti, chiedo venia. Ma insomma, il concetto è che molte band tirerebbero fuori un disco influenzato dalle nuovissime mode, un disco ne' carne ne' pesce, o ancora peggio un disco ultra-conservativo, arroccato sullo stile dei primi album, che così "i nostri fan ci riconoscono" e si va sul sicuro.

I meshuggah non ci cascano e non fanno nulla di tutto questo. Koloss, innanzi tutto, è un disco più lento, sia rispetto ai ritmi indiavolati delle vecchie prove, che rispetto allo stesso album precedente, un disco da tutti riconosciuto come più accessibile del solito. Però non è un disco ammorbidito, tutt'altro. Non è neppure un disco più facile, per quanto risulti sicuramente meno ostico per i non iniziati. È un disco che mantiene i principali tratti caratteristici del gruppo ma li mostra con colori diversi, meno vividi forse ma non meno affascinanti.

Sorprendere il pubblico e tenere alta la qualità sono due cose che pochissimi gruppi sono riuscitio a fare con tanta costanza fino ad ora. tanto meno in un genere che ammette pochissime compromissioni pena la totale alienazione. Chissà per quante altre volte questo gioco riuscirà così perfettamente.

5 aprile 2012

Killing Joke, 2012

Non starò qua a ripetervi dell'importanza dei Killing Joke nella storia del post-punk, e della mia adorazione nei confronti di questa fondamentale e longeva band. Vi rimando per questo ai miei post più vecchi, ad esempio quello dedicato al precedente Absolute Dissent.

A soli due anni di distanza tornano con MMXII, il loro quindicesimo album di studio, e il secondo dalla rifondazione della formazione originale, ricostituitasi dopo la morte del bassista Paul Raven.

La formula sonora è molto simile a quella dell'album del 2010: un misto di riff granitici, ritmiche possenti, con la voce rabbiosa di Jaz Coleman quasi sempre al limite dell'urlo e synth sferzanti a fare capolino qua e là, anche se i quattro hanno in questo caso pescato anche dal proprio passato più orecchiabile (vedi il singolo In Cythera, con echi evidenti dell'album Night Time). Ma si tratta di incursioni occasionali, concentrate per lo più a metà scaletta (Primobile è l'altro brano in cui il cantato si fa più melodico e accessibile), perchè a farla da padrone è ancora quel muro sonoro quasi feroce che il lavoro precedente ci aveva presentato in tutta la sua intransigenza.

Il quartetto sembra essersi compattato alla ricerca di una riaffermazione della propria sacrosanta superiorità sugli innumerevoli imitatori che hanno fatto incetta della loro influenza negli anni '90. E l'operazione è perfettamente riuscita, considerato che dal punto di vista musicale questo disco non ha nulla da invidiare a nessuno, e che i momenti che maggiormente rammentano il primo storico album omonimo del '79 (vedi ad esempio la potentissima Glitch) hanno i piedi piantati indiscutibilmente nel presente come nel passato.

Ma il punto di forza principale, ancora una volta, sta nelle liriche di Coleman, di attualità pressante, che attaccano a testa bassa su fronti aperti quali il disastro ambientale (la lunga opener Pole Shift) , la politica repressiva degli Stati Uniti (Fema Camp) e in generale sull'atmosfera da fine del mondo che caratterizza questo critico 2012, pur facendo emergere qua e là momenti di speranza militante. Un invito a non stare solo a fare da spettatori, ad accendere il cervello e magari a lottare per l'unico mondo che abbiamo.

3 aprile 2012

10 years ago, collapsing



Frank Tovey, alias Fad Gadget, se ne andava esattamente 10 anni fa.