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1 aprile 2009

I Queensrÿche non convincono...

E' dal 1994, anno in cui uscì l'ottimo Promised Land, che i Queensrÿche non riescono più ad incontrare i favori del proprio pubblico.

Pur conservando un profilo decisamente alto, il gruppo di Geoff Tate nell'ultimo decennio si è macchiato della colpa di aver avuto troppi tentennamenti nella direzione musicale.
Il tentativo di aggiornare il sound della band con Hear In The Now Frontier del 1997, con pessimi risultati di vendite, è stato seguito da una sterzata verso un suono più classico con il discreto Q2K nel 2000, salvo poi proporre, con il successivo Tribe, uno stile decisamente radiofonico seppure con brani di buon livello.
Ce n'era di che confondere anche il fan più accanito. L'uscita di Operation: Mindrime II è stato infine visto da gran parte della base dei fan come un maldestro tentativo di rinverdire i propri fasti senza riuscirvi. I meriti dell'album, pur evidenti, non sono riusciti a reggere il confronto con un capolavoro del passato al quale molti sono decisamente troppo affezionati per tollerarne il seguito.

Non so, al posto dei Queensrÿche, quale sarebbe stata la mossa migliore per uscire da questa situazione di empasse: è difficile prendere decisioni quando sai di dover dimostrare qualcosa, di dover riportare il proprio nome agli onori ormai trascorsi, ma hai tentato troppe strade per poter tornare semplicemente al passato senza rischiare un ridicolo effetto di auto-imitazione.
Loro in questa situazione hanno scelto di produrre un nuovo concept - i cui testi sono basati sulle reali esperienze dei soldati in guerra - tentando musicalmente di tenere il piede in due scarpe: qualche riferimento al vecchio stile, qualche residuo di quello degli anni 2000.

Ciò detto, si capisce subito cosa ci sia che non va in quest'album. Non che stiamo parlando di un disco pessimo, sia ben chiaro. Anzi: American Soldier è un disco ben fatto, nel quale la voce di Tate torna in massima forma, con alcune belle canzoni, qualche assolo degno di nota, qualche occasionale brivido. Il suono è più scuro di quello degli album recenti - e questo, per i Queensrÿche, è un gran bene - e la produzione non è disprezzabile. L'album nel suo insieme manca però di un'anima ben definita dal punto di vista musicale, oscillando tra progressive ed FM. E inoltre in troppi momenti risulta fiacco, ed alcuni brani lasciano decisamente l'amaro in bocca.

Il meglio lo danno gli episodi più veloci e più prog-metal, come Unafraid, At 30,000 ft., A Dead Man’s Words, Man Down!, Home Again. Troppo deboli e decisamente noisose, almeno per i miei gusti, sono invece canzoni come If I Were King (primo singolo estratto), Home Again (che non sarebbe malaccio, ma quando Tate duetta con la figlia decenne, diventa una traccia da skippare impietosamente) e qualcos'altro nel finale.

E' un peccato che questa storica band, che ha ancora tanti meriti e che dal vivo se la cava ancora benissimo (vedi la recente esibizione a Milano con la riproposizione completa di Operation: Mindcrime I e II), non riesca a focalizzare meglio il proprio talento.

15 marzo 2008

operation : cover

I Queensrÿche sono uno dei gruppi per i quali ragiono principalmente da fan. Anche le loro opere "minori" (vedi il criticatissimo Hear in the Now Frontier, che nel 1997 ha dato inizio a quella che molti considerano la loro decadenza) girano piuttosto spesso nel mio lettore.
Sarà che dalla voce di Geoff Tate ascolterei con piacere anche la lista della spesa su una sola nota; sarà che pure nei momenti più commerciali o comunque "leggeri" mantengono una dignità di musicisti decisamente invidiabile.

Ammetto però che, quando ho scoperto l'uscita di un album di sole cover, mi sono detto: "Perchè?"
Perchè fare una mossa che non potrà che alienare simpatie nella base storica del gruppo, perchè uscire con un progetto che per definizione (chiunque lo affronti) è del tutto inutile e in genere segnala una crisi d'identità?

Naturalmente, nonostante ciò, ho ceduto, con qualche mese di ritardo, al fascino del nome. E quindi eccolo qua, questo dischetto, saggiamente messo in vendita a prezzo contenuto.

Cercherò di rendere conto dei brani uno a uno.

La scaletta riserva qualche sorpresa: a fianco di cover di Pink Floyd, Black Sabbath, Peter Gabriel, la cui presenza è facilmente comprensibile per area stilistica, e di una canzone tratta da Jesus Christ Superstar (un musical da sempre amato dai metal kids), si trovano pezzi di Police, U2, Queen, e addirittura un brano di Carlo Marrale (chitarra e voce dei Matia Bazar) scritto in origine per due voci liriche.

La resa dei brani è alterna, anche se per un 50% almeno dei casi i Queesryche riescono nel miracolo di confezionare un arrangiamento originale e al tempo stesso convincente.

Il disco si apre proprio con uno dei pezzi più azzeccati: Welcome To The Machine viene privata di gran parte delle tastiere e dell'atmosfera infusa dai Pink Floyd nell'originale, ma la nuova veste, incattivita quanto basta, non è per nulla deludente.
Anche Heaven On Their Minds (da Jesus Christ Superstar) beneficia dell'arrangiamento decisamente più heavy e conserva, in modo più energico, tutto lo smalto della versione del film.
Seguono tre brani probabilmente meno noti al pubblico dei Queensryche: Almost Cut My Hair (Crosby, Stills, Nash & Young), For What It's Worth (Buffalo Springfield) e For The Love Of Money (The O'Jays). Conosco poco gli originali, ma lo stile hard/blues dei trattamenti mi convince e sono canzoni che, pur senza particolari meriti, si ascoltano volentieri.
Il primo momento critico è Innuendo (Queen). Un brano difficilissimo da affrontare, sia per questioni oggettive, sia per lo spettro di Freddy che non può non aleggiare sull'interpretazione di Tate. La cover infatti riesce a metà: la canzone non viene stravolta abbastanza da non far pensare continuamente all'originale, e pur presentando spunti molto interessanti nelle parti strumentali, lascia poco convinti. Forse sarebbe stato meglio evitare, chissà.
Neon Knights
(dei Black Sabbath nella formazione con Dio) è una fotocopia dell'originale, piacevole ma decisamente inutile.
Synchronicity II
(Police) è un vero scivolone: non convince la chitarra (risuonare le parti di Andy Summers in salsa metal è una pessima idea), non convince la voce, che si allontana troppo dallo spirito della canzone senza trovarle una nuova identità credibile. Il brano insomma non sta in piedi: da skippare. Peccato.
Red Rain
(Peter Gabriel) soffre in modo minore degli stessi problemi. Non tutta la musica si può suonare in modo più duro senza dilpidarne il senso. Qui la voce è molto interessante, ma mentre l'ascolto non riesco a smettere di pensare alla versione originale.
Odissea
(un brano scritto da Carlo Marrale e Cheope) raggiunge il vertice del grottesco. Geoff Tate non parla una parola d'Italiano, come da sua stessa ammissione, e si sente. Ma non è la sua interpretazione a deludermi (anzi, è sorprendente quanto si trovi a proprio agio in un brano lirico) ma è l'arrangiamento orchestrale che trovo stucchevole e ai limiti dell'inascoltabile. Orrore.
Il disco si chiude con una lunga versione live (più di 10 minuti) di Bullet The Blue Sky (U2). Non amo l'originale in modo sfegatato, ma nonostante ciò - o forse proprio per questo - trovo questa interpretazione piuttosto coinvolgente, anche se è possibile che i fan del gruppo di Dublino non la amino alla follia.

L'album alla resa dei conti raggiunge la sufficienza solo grazie ai brani migliori, ma in alcuni punti dimostra che reggere il confronto per 11 cover di seguito è cosa difficile anche per musicisti d'altissimo livello.

Se proprio volete ascoltare un disco controverso dei Queensryche, vi consiglio piuttosto di provare con Operation: Mindcrime II, che quanto meno è coraggioso. E del tutto inedito.