25 settembre 2007

La parola a Johnny

Finalmente. In questo 2007 solcato da un commercialissimo quanto poco sentito revival del punk, è stato infine pubblicato qualcosa di utile. L'avevo notato con la coda dell'occhio in libreria qualche giorno fa, ma l'usuale giallo della copertina e la solita foto di Johnny Rotten me l'avevano fatto frettolosamente catalogare come ennesimo libro sul '76-'77, come altri ne avevo visto spuntare negli ultimi mesi.
E invece no, questa autobiografia di John Lydon viene a gettare un po' d'aria fresca su un fenomeno generalmente frainteso e vissuto ormai dall'editoria come puro folklore.
C'è da dire che l'edizione originale è del 1994, ma festeggiamo quanto meno l'edizione italiana e facciamo finta di niente.
Perchè mi piace tanto l'idea di questo libro (e sottolineo l'idea: non l'ho ancora letto, in effetti). Innanzi tutto, mi piace l'autore: Johnny Rotten è stato una delle teste pensanti del punk, molto più di quanto si fosse immaginato all'epoca, ed è stato anche uno dei più genuini esponenti di un'epoca e di una generazione, che non sempre sapeva cosa stava facendo. Lydon ha parlato poco, finora, della storia dei Sex Pistols. Quanto meno, ne ha parlato meno di molti giornalisti e di quel Malcolm MacLaren che lo stesso Lydon in questo libro definisce semplicemente "uomo di merda" (ebbene si, non l'ho letto ma una sfogliatina l'ho data).
E poi mi piace il taglio: nessuna mitologia, nessuna apologia, nessuna esegesi, sembrano trasparire dal volume. Semplicemente, il racconto di ciò che è stato, vissuto dall'interno. Ossia, esattamente l'unica cosa che ci possa interessare, e che importi qualcosa.
"Alcuni s'immaginano l'era dei Sex Pistols in diverse gradazioni di bianco e nero. A dire il vero, i colori che ho in mente io sono verde neon o militare con rosa fluorescente: basta che diano fastidio. Può darsi che in fondo sia un intellettuale, ma ho sempre pensato che i colori, come le parole, come le intonazioni, influiscano sulle persone".
"(Sid) era diventato tutto quello che non volevo fossero i Sex Pistols: l'ennesimo rockettaro sfigato e drogato."

17 settembre 2007

E' morto il CD, viva il CD!

Compact Disc. Ricordo come ieri i giorni in cui lessi per la prima volta di questo strabiliante ritrovato della tecnica moderna. Se non sbaglio si trattava di un roboante articoletto trovato in una copia del Reader's Digest che girava per casa. Ero piuttosto piccolo, ma mi colpì molto la vantata indistruttibilità del supporto (si narrava di prove di resistenza mitologiche, quali il lancio dalla cima dell'Empire State Building) e la possibilità di abolire la separazione tra lato A e lato B. All'epoca ascoltavo solo classica, e soffrivo di cose tremende quali la divisione in due parti del terzo movimento della nona di Beethoven, necessaria sul vinile per farci stare l'intera sinfonia. Non mi sorprese scoprire che la durata di 74 minuti era stata suggerita da Karajan proprio pensando alla nona.

A distanza di più di vent'anni, mi trovo mio malgrado ad iniziare a scorgere in giro i segni di un prossimo pensionamento del compact disc. L'"era digitale" conteneva in se' stessa i germi di ciò che sarebbe poi accaduto: napster, il p2p, la vendita di musica online, l'iPod. Tutto sembra congiurare contro questo inutile pezzo di plastica che ha accompagnato la mia generazione (e qualche altra) nel mondo della discografia.

Scriveva Steve Albini nel 1987 sull'edizione in CD di una raccolta dei Big Black ("Eight Track Tape"): "[...] Don't worry about their longevity, as Philips will pronounce them obsolete when the next phase of the market squeezing technology bonanza begins". Questo nel libretto. Sul CD invece è stampato quanto segue: "When, in five years, this remarkable achievement in the advancement of fidelity is obsolete and unplayable on any 'modern equipment', remember: in 1971, the 8-track tape was the state of the art".

Quando, nei giorni scorsi, mi sono messo alla ricerca di un nuovo Discman, o lettore portatile che dir si voglia, ed ho scoperto che quasi nessun negozio di elettrodomestici ne vende più, a favore di banchi e banchi di lettori mp3 ed iPod, queste parole mi sono sembrate di grande saggezza.

Albini aveva sbagliato solo nella previsione limitata a cinque anni, ma questo è giustificabile con il malumore del momento, che doveva somigliare tanto a quello che mi ha assalito quando la consapevolezza mi ha raggiunto.
Cosa ne farò di migliaia di compact disc che mi riempiono la stanza? Li convertirò in mp3? E' fantastico osservare quanto lo standard per l'audio, invece di migliorare, peggiori. Il discorso è molto lungo, lo approfondirò un'altra volta.
Per ora metto su i Big Black.