18 marzo 2010

Plastic beach

Al primo ascolto questa terza prova dei Gorillaz di Damon Albarn mi aveva deluso alquanto. E' che dopo tanti anni passati ad ascoltare i dischi più vari e disparati, ancora mi faccio fregare dalle aspettative e dai preconcetti.

Il fatto è che io mi aspettavo semplicemente un "Gorillaz III", mentre evidentemente nelle intenzioni di Albarn questo dovrebbe essere l'album della svolta.

I primi due album erano basati su una miscela vincente di pop elettronico, rock alternativo, dub e hip hop, una macchina da guerra sapientemente orchestrata che, assieme ad una successione di brillanti mosse di marketing, ha generato il caso più unico che raro di una band virtuale più acclamata e famosa della gran parte delle band "reali" (tanto da superare il successo degli stessi Blur).

Ma evidentemente successo, vendite e critica a favore non devono essere bastati. Il buon Damon, uomo infaticabile e irrequieto, desiderava alzare la posta, puntare più in alto, sfornare il capolavoro. E con una logica ormai antiquata, ma coerente con l'obiettivo, ha puntato sul disco concept. Con il risultato di appesantire la faccenda e di perdere dunque in scioltezza ed immediatezza - proprio le qualità più straordinarie dei dischi precedenti.

Eppure in questo album c'è tanto di buono - e in certa misura si tratta di cose che si scoprono ad ascolti successivi. Purtroppo, il CD soffre dell'eccessiva eterogeneità e di un ordine dei brani che appare forzato, piegato alle necessità della narrazione.

Piano piano però ho superato, ad esempio, il lieve fastidio causato dalla successione della seconda e della terza traccia, che dopo la breve Orchestral Intro sembrano preludere ad un disco di puro hip hop (Snoop Dogg è l'ospite di Welcome to the World of the Plastic Beach, i rapper Bashy e Kano quelli di White Flag).

Così come alla fine mi sono adattato all'"effetto compilation", causato da un'alternanza di generi che dimostra tanto colto eclettismo ma priva l'album di qualsiasi coerenza interna.
E allora riesco a godermi cose come Rhinestone Eyes (primo episodio dell'album che ricorda i Gorillaz più "classici"), oppure quella gran genialata che è Stylo (in cui l'alternanza delle voci di Mos Def, dello stesso Albarn e dell'inaspettato Bobby Womack genera una delle cose più originali dell'album), o anche la title track Plastic Beach (ospiti la metà dei Clash: Mick Jones e Paul Simonon) e financo la piacevole canzoncina pop Some Kind of Nature, alla quale ha prestato la voce niente meno che mister Lou Reed.

Il problema però è che non pochi tra i 16 brani soffrono di una eccessiva evanescenza, e sembrano davvero le jam session di un gruppo di cartoni animati esiliati su un'isola di plastica (si ascolti ad esempio Glitter Freeze, scanzonato pasticcio sul quale blatera un ubriachissimo Mark E Smith). Onore al merito, allora, ad un'operazione fin troppo riuscita; ma non so se quest'album meriterà la gloria dei posteri come forse sperava lo chef Albarn.

Nessun commento: