7 marzo 2010

Ristampe succose dai favolosi anni 80 (parte 1)

Sono passati esattamente 25 anni da quando un caro amico mi regalò Welcome To The Pleasure Dome dei Frankie Goes To Hollywood.

Due dischi in vinile, poco più di un'ora di canzoni e un artwork decisamente indimenticabile. Una rivoluzione travolgente, un'iniezione di ammiccamenti sonori e visivi che mi traghettarono nella zona più calda dell'adolescenza e in un mondo di suggestioni musicali fino ad allora sconosciute.

Non accadde solo a me: questo è uno dei dischi più importanti degli anni '80, e lo è per un sacco di incredibili ragioni.

L'album usciva per la ZTT di Trevor Horn, un uomo la cui influenza sarebbe stata enorme sullo sviluppo della musica pop a venire. Horn era autore di un progetto ad amplissimo spettro che, a partire dagli Art Of Noise, e sviluppandosi attraverso diversi artisti sui quali ebbe un controllo più o meno evidente ed invadente (i Propaganda, gli stessi Frankie Goes To Hollywood, gli Yes di Owner Of A Lonely Heart, la Grace Jones di Slave To The Rhythm, e l'elenco è ancora molto lungo), lavorò su diversi aspetti della concezione stessa di mercato musicale. Il campionamento come forma d'arte, la costruzione di una hit pop come mescolanza di influenze diverse e non sempre coerenti, il rapporto tra l'artista e il pubblico come soggetto dell'arte stessa (in senso anche warholiano), l'utilizzo di messaggi dirompenti ed al contempo ambigui per attirare l'attenzione su aspetti più nascosti e più importanti, furono tutti elementi introdotti o comunque potenziati da Trevor Horn e poi assimilati, diffusi, e spesso banalizzati, dall'industria musicale nel decennio successivo e ancora fino ad oggi.

Welcome To The Pleasuredome è la quintessenza di questa alchimia. Partendo da una rock band dalle buone potenzialità ma non eccelsa, dalla quale venne soprattutto estratta l'eccezionale personalità del cantante Holly Johnson, Horn fabbricò un album in cui ogni solco rimandava, tra collaborazioni, riadattamenti, riarrangiamenti, artifici di studio, un caleidoscopio sonoro al quale non eravamo ancora abituati. I brani originali e le diverse cover vennero trattati e modificati con un sapiente - ed all'epoca innovativo - lavoro di studio, fino a diventare altro ed a comporre un'opera che era fuori dal controllo dell'artista stesso. Anzi, l'artista percepito dal pubblico diventava la somma di un numero di fattori enorme - la composizione, gli arrangiatori, lo studio, i sintetizzatori, il produttore, i grafici, i designer, i remix, i registi dei videoclip - fino al punto che i Frankie Goes To Hollywood furono ben altro da se', ma lo furono con una potenza inimmaginabile fino a quel momento.

Consci di questo meccanismo, i cinque del gruppo sentirono il bisogno di ribellarsi e si sfilarono dal meccanismo, pretendendo di registrare il secondo album (Liverpool) come semplice band, svincolandosi dal produttore e confezionando un lavoro molto più onesto e vero, ma decisamente meno affascinante e compiuto, scomparendo subito dopo dalle scene.

La nuova ristampa che oggi celebra i 25 anni dell'album ha diversi meriti. Innanzi tutto, recupera finalmente, ed in modo sontuoso, tutto l'artwork originale. Non solo, ne aggiunge altro, proveniente dalle medesime sessioni di produzione. In secondo luogo, restituisce un audio perfetto ed all'altezza della stampa originale. Infine, acclude un secondo CD infarcito di extended versions e B-sides, qualcuna ancora incredibilmente inedita su CD nonostante l'enorme numero di singoli e raccolte messe sul mercato nel corso di questi 5 lustri.

Frankie says: ... (da completare a vostro piacimento)

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