24 aprile 2009

Sounds of the universe

Lo dico con una discreta dose di tristezza: questa è la prima volta che i Depeche Mode riescono a deludermi davvero. Finora avevo digerito tutto, anche le cose più debolucce e meno entusiasmanti.

Sarà anche che il singolo Wrong, pur non miracoloso, mi aveva fatto ben sperare.

L'album Sounds of the Universe invece, al di là di qualche sprazzo di vitalità, mi è parso un disco troppo freddo, molto poco ispirato, e decisamente sotto la media del glorioso gruppo britannico, di cui sono un acceso fan sin dagli anni '80 (lo dico perchè si comprenda il tono di questa pagina).

Inizio da quello che già si sa, in quanto detto e ripetuto sia dai Depeche Mode sia da chi ha recensito l'album prima di me: in questo disco ci sono tantissimi suoni vintage (grazie all'uso di una montagna di synth analogici); c'è una registrazione ai limiti del maniacale, che permette di ascoltare i dettagli più infinitesimali; c'è un grandissimo lavoro di arrangiamenti; ci sono anni '80 a vagonate.

Già qui dovrebbe scattare un campanello d'allarme: perchè tanta cura nel riproporre un sound che sa di già sentito? In quale fase della loro carriera i Depeche avevano sentito il bisogno di recuperare qualcosa di vecchio e non di proiettarsi nel futuro? Mai prima d'ora.

Ma potrei soprassedere, anche di buon grado, sull'assenza di una particolare ricerca sonora o della novità a tutti i costi. E' pur sempre una band di quarantacinquenni. Quello che proprio non mi va giù è che molte delle 13 tracce che compongono l'album sono davvero, ma davvero brutte: melodie insipide, strutture convenzionali, molte banalità, niente che possa far provare i brividi ai quali invece i nostri ci avevano abituati.

Se non fosse per le voci inconfondibili (e sempre splendidamente intrecciate) di Gahan e Gore, quest'album potrebbe essere stato prodotto da una qualsiasi band pop.

Ecco, l'ho detto. Ce l'avevo sullo stomaco da qualche settimana, ma non me la sentivo proprio di metterlo per iscritto. Avevo anche tentato qualche ascolto in più nella speranza di cambiare impressione. Niente da fare. Ora posso riporre il CD in un cassetto e cercare di dimenticarmene.

Visto che, ovviamente, qualcuno non sarà d'accordo, passo ad argomentare traccia per traccia.

1. In Chains
L'album è introdotto da un minuto di rumori di synth - una scelta senz'altro discutibile, visto che già al terzo ascolto la cosa annoia molto - che si risolvono poi in un brano particolarmente pacato e basato su layer di tastiera decisamente minimali. Va sottolineata la buona prova vocale di Dave Gahan. Si notano molto le percussioni cromatiche utilizzate un po' alla Construction Time Again. Martin Gore non resiste alla tentazione di inserire una chitarra wah molto invadente anche se efficace.

2. Hole to Feed
Il primo dei tre pezzi firmati da Gahan (tutti gli altri sono, come al solito, opera di Gore) e il meno riuscito dei tre. Si tratta di un pezzo piuttosto energico, che prò pare uno scarto di registrazione di Hourglass (l'ultimo album solista del cantante). Quando le voci dei due si intrecciano, si prova qualche brivido, ma per il resto la canzone scorre via senza lasciare traccia: ripetitiva e poco incisiva, non è neppure supportata da un buon testo. Pessima la scelta, che si protrae per tutto il disco, di suoni di batteria scarni e "piccoli", veramente svilenti in un pezzo come questo.

3. Wrong
La canzone che mi aveva fatto ben sperare, ed è la migliore traccia in quanto a suoni e originalità. Il brano ha una struttura atipica, fatta di una sorta di strofa/ritornello ripetuti numerose volte. Unico esempio nel disco di un lavoro di armonizzazione non banale e dai risvolti inquietanti - mentre nelle altre tracce si respira una sorta di piatta serenità consonante.
Wrong suona come un corpo estraneo in Sounds Of The Universe, una scelta strana visto che si tratta, dopotutto, del primo singolo.

4. Fragile Tension
Qui si scade nel kitsch. La base è banale synth pop d'annata messo insieme con dei "suonini" dimenticabili. Melodismo d'accatto e composizione di Gore decisamente sotto la media. L'uso della chitarra distorta, in netto contrasto con il resto del brano, dona una certa personalità ma non riesce ad amalgamarsi col resto, col risultato che chi gradisce il pezzo resta certo infastidito dalla chitarra.

5. Little Soul
Ancora le percussioni cromatiche old style per un pezzo molto "positivo", cantato da Dave con un intimismo inusuale. Nell'album c'è di peggio, ma comunque questa canzone non convince, soprattutto laddove alcuni stacchi percussivi spezzano la già fragile atmosfera del brano.

6. In Sympathy
Un giro di basso synth distorto introduce la strofa di questa canzone particolarmente dimessa e che proprio non riesco a mandar giù. Il ritornello che entra poco dopo è banale, troppo radiofonico e sentito mille volte. La cosa più triste è che Gahan sembra quasi cantare il pezzo controvoglia, una delle sue intepretazioni meno memorabili di sempre. Per giunta, la canzone si trascina a lungo, con effetti di gran noia, fino ad un finale rumorista privo di senso.

7. Peace
Sarebbe molto bello l'intro con giochino ritmico tra basso e batteria, non fosse che subito dopo entra un ritornello troppo ammiccante e "carino" perchè non lo consideri uno dei più brutti della storia della band. Un pezzo che ricorda in modo imbarazzante le peggiori cose del duo Jon & Vangelis, in cui il barocchismo dei synth sostiene pessime melodie ed effettini per adolescenti. Nell'incidere il pezzo, il senso del ridicolo è stato lasciato fuori dalla porta dello studio. E pensare che sarà il secondo singolo.

8. Come Back
Incredibile a dirsi, l'album si risolleva col secondo brano di Gahan. Lo spunto alla Personal Jesus è fin troppo evidente, ma almeno qui ci sono una canzone e un interprete che mette tutto se' stesso nell'interpretarla.

9. Spacewalker
Uno strumentale talmente inutile che non se ne comprende la presenza. Con un senso della melodia che fa molto cinema italiano anni '70 e ricorda le cose peggiori dell'ultimo disco solista di Martin Gore.

10. Perfect
Un altro brutto pezzo pop. Ha gli stessi difetti dei precedenti, quindi passo oltre.

11. Miles Away/The Truth Is
Ancora un pezzo di Gahan e ancora una volta una delle cose meno indecenti. Qui si salvano, oltre alla voce, anche i suoni non banali e il convincente arrangiamento. Peccato solo per il titolo che pare buttato lì.

12. Jezebel
Unico pezzo cantato da Gore, anche se è un peccato che abbia scelto una delle sue ballate più insignificanti per ritagliarsi uno spazietto. La voce è sempre la sua, ma ci sono spazi siderali da cose come Somebody o One Caress, per citarne solo un paio.

13. Corrupt
Un onesto brano di chiusura, dotato di suoni taglienti e sorretto da un buon lavoro di Gahan. Fosse stato questo il livello medio del disco, avrebbe almeno strappato una sufficienza, cosa che a suo tempo era riuscita anche al criticatissimo Exciter.

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