14 ottobre 2007

The last Ministry

E' da qualche giorno che ascolto l'ultima fatica dei Ministry. Ultima in tutti i sensi, visto che lo sticker recita "The last studio album" e che i nostri hanno dichiarato di non avere intenzione di pubblicarne altri.
The Last Sucker è il titolo scelto dal gruppo di Al Jourgensen per il capitolo finale della saga iniziata nei primi anni '80 e proseguita con estro e ferocia per più di un ventennio, tra cambi di formazione e sterzate di genere. Un titolo cattivello, anche se il riferimento può essere doppio: al bersaglio abituale (se non sapete chi è ve lo dico io: Bush) oppure, ironicamente, al disco stesso.
L'album ad un primo ascolto potrebbe sembrare deludente, in quanto non contiene novità di sorta. Una gragnuola di mazzate violentissime di stampo techno-metal si abbatte sull'ascoltatore (da un punto di vista musicale) e sull'amministrazione americana (dal punto di vista dei testi, davvero poco politically correct) così come nei precedenti Rio Grande Blood (2006) e Mark Of The Molè (2004), con i quali viene a completare una ideale trilogia.
L'album è però degno di nota per la perfetta alchimia, per la convinzione straripante e per il mestiere che trasuda. Forse migliore del precedente, che tirava un po' più la corda.
Qualche brano da segnalare in particolare: una aggressiva cover di Roadhouse Blues dei Doors (irriconoscibile fino all'ingresso della voce), la veloce e devastante The Dick Song, il siparietto punk di Die In A Crash, il gran finale di End of Days, pt. 2.
Il resto è il solito ministrone (orrendo neologismo per "formula in stile Ministry": vi piace? no, eh?): attitudine industrial, chitarre heavy pesantemente manipolate, elettronica derivante, basso martellante, campionamenti demoniaci. Se si amano i Ministry, l'acquisto è obbligatorio. Se non li si ama, beh, che ne parliamo a fare. Se invece non sapete chi siano i Ministry, accidenti a voi, compratevi almeno Psalm 69. O The Land of Rape and Honey. Eccheccazz.

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