28 giugno 2009

24 Hour Party People, il DVD

Ce n'è voluto di tempo, ma alla fine il DVD di 24 Hour Party People, film girato nell'ormai lontano 2002, è apparso nei negozi italiani.

Si tratta di una pellicola strana, una biografia/documentario che con una miscela di fatti veri, aneddoti mai verificati e invenzione pura, riporta alla vita la Manchester musicale che ha ruotato attorno alla Factory di Tony Wilson tra il 1976 e il 1997.

In qualche modo, il regista Michael Winterbottom è riuscito nel difficile intento di narrare la storia della Factory senza abusare di toni apologistici ma anche senza scantonare nella banale collezione di aneddoti scanzonati.

Il mondo di Wilson, di Martin Hannett, dei Joy Division, degli A Certain Ratio e degli Happy Mondays (per citare solo pochi dei nomi coinvolti) si materializza sullo schermo in una allucinazione che riesce ad assumere a tratti i contorni del vero, vincendo nella sfida di trasmettere lo spirito di un'epoca che, pur essendo ormai definitivamente tramontata, ha influenzato tutta la musica a venire e i comportamenti di milioni di giovani in tutto il mondo.

Centro di tutto, Manchester, città industriale che, in grave declino economico, sociale e architettonico, partorisce nel brodo primordiale del post punk un manipolo di musicisti, produttori e importanti figure di contorno che traghetteranno la discografia e la vita notturna, nel bene e nel male, dall'epoca del punk a quella del rave.

Il film è anche una sorta di biografia di Wilson - straordinariamente interpretato da uno Steve Coogan in gran forma - sebbene sia proprio Wilson nel film a dire ad un certo punto: "Questo non è un film su di me. [...] Sono un personaggio secondario nella sua stessa storia. Questo è un film che parla di musica, e della gente che ha fatto la musica: Ian Curtis, Shaun Ryder e Martin Hannett". Per inciso, anche Wilson morirà pochi anni dopo l'uscita del film.

Oggi me lo sono riguardato doppiato in italiano, il che nulla ha aggiunto all'originale (qualsiasi doppiaggio, anche il migliore, non può che sottrarre), ma è stata comunque un'occasione per rituffarmi nella narrazione di un incredibile sogno, quello nel quale Wilson generò un'etichetta indipendente della quale poteva serenamente dire (parlando a Roger Aimes della London Records, che proponeva di acquistare la Factory): "La Factory Records in realtà non è una società. Noi siamo un esperimento sulla natura umana. Stai forse erroneamente pensando che dobbiamo avere un contratto con le nostre band, che abbiamo una sorta di contratto. Ecco, però ti dico che ho paura che... penso che non sia così. Perchè vedi, questo è l'unico tipo di contratto con cui qui alla Factory Records regoliamo i rapporti con le nostre band." Nel dir questo, Wilson porge allo sbigottito Aimes un foglio che sta appeso alla parete dell'ufficio, dal quale quest'ultimo legge: "Gli artisti sono proprietari del proprio lavoro, l'etichetta non possiede niente, le nostre band sono libere di fotterci".

Amen.

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